A fine 2021 il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha potuto archiviare positivamente la prima fase della messa in opera del PNRR. Quella
che cinicamente potremmo definire come la fase “descrittiva” del Piano: messi in un bilancio virtuale i fondi europei che man mano arriveranno,
ecco pronto un lungo elenco di cose da fare e di progetti - dettagliati, e questo è un punto di merito - da attuare. Dare un segno di spunta a un elenco di iniziative in programma serve però sino a un certo punto. Era e sarà di nuovo necessario a sbloccare i fondi europei, ma i macro-obiettivi e i “milestone” si devono tradurre in scadenze e bandi. E non bandi generici: è essenziale che i bandi siano mirati, ben studiati ed efficaci.
Il bello viene adesso e in fondo anche Mario Draghi l’aveva sottolineato: “Bisogna immaginare una quantità di istituzioni che cambiano il loro
modo di agire. Questa è la vera sfida”, aveva detto. Una sfida non banale perché dietro ogni bando che traduce i fondi europei in lavori sul
campo non ci può essere la supervisione diretta di Draghi o di qualche esperto-guru di nome. C’è l’attività di enti pubblici centrali e locali a
cui di fatto passa la palla della digitalizzazione a tappe forzate di una nazione che sinora, nella lunga era digitalmente quasi glaciale del “ante
PNRR”, non ha brillato per intraprendenza, attenzione al risultato e visione di prospettiva.