Possono essere le nuove mosse di un lungo gioco delle parti alla fine innocuo, ma anche gli accenni di una nuova fase nella contrapposizione tecnologico- geopolitica tra USA e Cina: nelle ultime settimane, da un lato gli USA hanno dato il via a maggiori misure restrittive sulle esportazioni di semiconduttori proprio verso la Cina, dall’altro Pechino ha risposto simbolicamente mandando avanti alcune importanti associazioni industriali cinesi, secondo cui - e l’agenzia di stampa Nuova Cina ha dato ampio risalto a questa posizione - le aziende cinesi dovrebbero sostanzialmente smettere di acquistare chip USA e invece “cercare di espandere la cooperazione con le imprese di chip di altri Paesi” e anche “utilizzare attivamente i chip prodotti e fabbricati in Cina da imprese nazionali e finanziate dall’estero”.
Insomma, come al solito Washington spara alto e Pechino risponde in maniera obliqua. Un film già visto, verrebbe da dire, se non fosse che tutte le questioni geopolitiche sul tavolo mondiale si stanno facendo più spinose e la tecnologia - la cronaca fa parlare di chip, ma si va ben oltre la microelettronica - è sia uno strumento, sia una vittima delle contrapposizioni tra nazioni e blocchi.
Contrapposizioni che per noi europei non sono affatto un vantaggio, nonostante ci consideriamo sempre strategicamente e commercialmente “apparentati” agli Stati Uniti. Strategicamente sarà anche vero, commercialmente rischiamo di essere il manzoniano vaso di coccio che se la vede male tra i vasi di ferro.