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Netcomm, perché siamo contrari alla web tax

Roberto Liscia, Presidente del Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, spiega le possibili ricadute negative della web tax sull’economia delle imprese di nuova o recente costituzione

Mercato e Lavoro
Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, in qualità di rappresentante del settore del Commercio Elettronico Italiano, esprime le proprie valutazioni sull’introduzione dell’imposta sulle transazioni digitali nell’ambito delle recenti misure fiscali per l’economia digitale della Legge di Bilancio, approvata dalla Commissione Bilancio del Senato. 

È senz’altro condivisibile e apprezzabile l’intenzione del legislatore italiano di assoggettare a prelievo fiscale quelle imprese non residenti in Italia che, pur generando utili nel nostro Paese, a oggi non scontano alcuna IVA o imposte sui redditi nel nostro Paese; tuttavia, il provvedimento non appare raggiungere tale obbiettivo ma, anzi, rischia di produrre nuovi squilibri, con possibili ripercussioni negative per molte imprese nostrane. 

L’imposta – pari al 6 per cento – è calcolata sui ricavi derivanti dall’erogazione di servizi digitali (quali, per esempio, la vendita di spazi pubblicitari, servizi di cloud computing, ebook, ecc.) da parte di soggetti stabiliti in Italia o in altro Stato estero, a favore di altre società che hanno sede in Italia, fatta eccezione per le tre categorie menzionate dal paragrafo 9 (ovvero le imprese agricole, i contribuenti in regime dei minimi e i contribuenti che hanno aderito al regime forfettario previsto dallart. 27, d.l. 98/2011) e le stabili organizzazioni di soggetti non residenti situate nel medesimo territorio.

Seppur vero che il provvedimento non colpisce il consumatore finale, è altresì vero che comporterà diverse conseguenze negative per gli operatori digitali italiani. In primo luogo, considerando che la base imponibile della web tax sono i ricavi, e non il reddito, essa andrà a incidere significativamente sull’economia delle imprese italiane di nuova o recente costituzione, si pensi ad esempio alle start-up. In secondo luogo, i provider di servizi digitali italiani subiranno di fatto un ulteriore inasprimento del prelievo fiscale complessivo già piuttosto gravoso in Italia; a tale riguardo si osserva che il meccanismo del credito d’imposta previsto per mitigare l’inasprimento del prelievo fiscale potrà essere d’aiuto solo in determinati casi poiché essendo utilizzabile solo in compensazione, esclude dal beneficio, nuovamente, tutte le realtà che faticano ad avviare o mantenere con un bilancio attivo della propria azienda e sappiamo tutti che, purtroppo, questa è una situazione comune nel nostro Paese. 

L’auspicio di Netcomm è che il legislatore italiano rifletta sulle possibili conseguenze di tale iniziativa; sarebbe infatti auspicabile un ridimensionamento della portata applicativa della web tax escludendo le imprese italiane e le stabili organizzazioni di imprese estere in Italia dall’ambito di applicazione del tributo, essendo quest’ultime già soggette a imposizione sui redditi globali in Italia.  Inoltre, non da ultimo, l’iniziativa legislativa dovrebbe essere armonizzata con altre allo studio in alcuni Stati dell’Unione Europea; vi è infatti il concreto rischio per il nostro Paese di aumentare il divario di competitività rispetto agli altri Stati europei. 
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