In Italia c'è consapevolezza di dover affrontare una fase di profonda trasformazione, tecnologica e di business, ma anche incertezza su come farlo velocemente e nel modo migliore
Anche se molte imprese sono ancora perplesse rispetto alla strada da seguire per la propria Digital Transformation, in realtà possiamo considerare ormai chiusa la prima fase in cui le aziende hanno recepito l’innovazione digitale. È stata - spiega
Fabio Rizzotto, Direttore Ricerca di IDC - una fase caratterizzata in particolare dalla
sperimentazione delle principali tecnologie considerate innovative. Ora l'evoluzione continua ma con una prospettiva nuova, quella che IDC definisce di
multiplied innovation: le tecnologie innovative si combinano per potenziare il loro effetto e, parallelamente, la sempre maggiore condivisione di dati e informazioni permette di arrivare ad analisi più approfondite ed utili.
Uno scenario positivo, quindi, ma che
per le aziende utenti presenta molti punti critici. Cambia il mercato, con i clienti/utenti che chiedono esperienze e servizi migliori e con uno scenario in cui la competizione non è più tra singole aziende ma tra ecosistemi. In tutto questo l'innovazione tecnologica
non è più proprietà dell'IT ma coinvolge manager diversi che operano ciascuno nel suo contesto e, sempre più spesso, anche figure nuove come l’Innovation Officer.
Per valutare lo stato delle imprese italiane davanti a queste sfide, IDC ha coinvolto
un campione di seicento aziende e in particolare i loro "digital leader", ossia i manager coinvolti in vario grado (il 26% coordina le strategie di innovazione, il 46% è coinvolto attivamente in questa attività e il 28% è potenzialmente coinvolto) nell'innovazione di business e digitale. Solo nel 53% dei casi i digital leader sono figure dell'IT, per il resto
sono manager non-IT: dall'amministratore delegato al responsabile di una linea di business passando per il responsabile Finance o marketing.
Il segnale positivo dell'indagine IDC è che, tra i manager italiani, c'è una forte
consapevolezza di operare in un settore esposto alla disruption digitale. È una percezione diffusa (la segnala il 70% del campione) e travalica ruoli e settori. Ad esempio è sentita anche nella Pubblica Amministrazione, un ambito che non vive di competizione in senso stretto. Questa consapevolezza
porta con sé, inevitabilmente, anche incertezza: i manager si sentono obbligati a sperimentare e quindi ad accettare anche fallimenti (lo afferma il 60% del campione), non sanno chi saranno i concorrenti da qui a tre anni (46%) e si chiedono (37%) quali metriche serviranno per la valutazione del business, proprio per la sua digitalizzazione.
Mancano insomma i punti di riferimento, come in qualsiasi fase di transizione. Per questo le aziende poi si dividono abbastanza nettamente nel
modo in cui reagiscono a questo scenario. Una minima parte (10%) cavalca il cambiamento con iniziative a forte impatto sul modello di business, la maggioranza (48%) innova in modo mirato ma non stravolge il suo modello, in mezzo c'è un 42% di imprese che intende innovare il proprio business ma con gradualità.
Questa differenza di capacità reattiva si traduce in una
diversa accettazione delle nuove tecnologie. Le aziende ovviamente sanno che per innovare serve investire, è positivo quindi che anche in una fase non proprio semplice dal punto di vista economico una buona fetta (37%) delle imprese analizzate preveda
crescite per gli investimenti in nuove tecnologie e in digitalizzazione. Quando però si scende nel concreto e si stima la percentuale di chi utilizzerà componenti molto innovative (IoT, Intelligenza Artificiale, robotica, blockchain,
realtà virtuale/aumentata...) che possono essere veri e propri acceleratori dell'innovazione, si vede che
lo scenario non è omogeneo.
Le imprese che cavalcano il cambiamento prevedono di adottare le tecnologie più innovative nel 68% dei casi, mentre le aziende più prudenti e quelle conservative
hanno percentuali molto più basse: 38% e 35%, rispettivamente. Cifre forse troppo contenute in particolare se consideriamo che complessivamente le aziende ritengono che la loro velocità di innovazione
non sia adeguata a quanto il mercato chiede (lo indica il 48% del campione). Una percentuale rilevante (63%) inoltre è cosciente che il passaggio dai primi progetti pilota all’innovazione estesa sarà troppo lento.
Un freno segnalato da molte imprese sta nel fatto che, sintetizzando, l'innovazione deve essere stimolata, gestita e pilotata. E per questo
servono modelli organizzativi nuovi. Solo il 56% delle imprese analizzate ha però un team stabile dedicato all'innovazione, che di solito (58% dei casi) dipende direttamente dalla direzione generale. E poi c'è l'annoso tema delle
competenze: molte imprese ritengono di non avere quelle che oggi servono e vorrebbero
svilupparle al loro interno (solo il 38% del campione ritiene strategico cercarle all'esterno).
In parte questo limite si supera ragionando in
ottica di ecosistema e di open innovation. Le aziende italiane sono ben disposte a collaborare con partner di vario genere, ma chi immagina per questo le partnership tra imprese consolidate e startup tecnologiche innovative rischia di restare deluso. I digital leader italiani preferiscono mettere sul podio delle collaborazioni le classiche
società di consulenza (52% di citazioni), le imprese del loro settore (31%) e le Università (28%).