Per rispondere alle richieste della UE, Google "spacchetta" Android ma chiede ai produttori di smartphone di mettere mano al portafogli
Lo scorso luglio la Commissione Europea aveva
comminato a Google una sanzione da 4,34 miliardi di euro per abuso di posizione dominante. L'accusa è sostanzialmente di
imporre il suo motore di ricerca ai produttori di smartphone e tablet, integrandolo nella versione commerciale di Android (Android GMS - Google Mobile Services). L'azienda di Mountain View aveva 90 giorni di tempo per evitare la multa modificando le sue politiche di licenza per il sistema operativo, e
così ha deciso di fare.
Google ha stabilito di
"spacchettare" Android GMS separando non solo il sistema operativo in quanto tale dalle applicazioni, come già era prima, ma anche dividendo le app in tre blocchi: il motore di ricerca, il browser Chrome e la suite di app Google (in primis Gmail, Google Maps, YouTube, Google Play). Ciascuno di questi blocchi è ora
soggetto a una licenza specifica che i produttori di device dovranno pagare per usare il relativo software.
In pratica, ora i produttori possono ancora creare dispositivi per il mercato europeo usando Android senza pagarlo, ma se vogliono includervi il motore di ricerca Google, Chrome o la suite di app
dovranno pagare le relative licenze. Il pagamento è necessario,
spiega Google, perché "
la pre-installazione di Google Search e Chrome insieme alle nostre altre app ci aiutava a sostenere lo sviluppo di Android e la sua distribuzione gratuita".
Cosa cambierà per gli utenti e per i produttori di dispositivi mobili? La preoccupazione dei secondi sarà che per i primi non cambi in effetti nulla, perché chi acquista un device Android
si aspetta - tranne rarissimi casi - di avere a disposizione tutta la suite Android. È quindi assai probabile che i produttori prendano in licenza la suite Google senza troppo starci a pensare, soprattutto per
avere a bordo subito il Play Store. Senza di esso, infatti, l'installazione di nuove app risulta complessa per l'utente medio.
Il nocciolo della questione
è legato piuttosto a Chrome e a Google Search. Alcuni produttori potrebbero in effetti avere interesse a usare browser e motori di ricerca alternativi, stipulando accordi con altri vendor (Microsoft è il nome che viene subito alla mente). Google sta di fatto
spostando il rischio economico collegato a questa eventualità sui produttori di dispositivi che useranno invece - ora in licenza, quindi pagando - i suoi prodotti.
A questo punto, i produttori filo-Google possono decidere di
assorbire la maggiore spesa legata alle licenze o di trasferirla, a loro volta, sui loro clienti aumentando un po' il costo dei dispositivi. C'è in realtà una terza strada, più articolata: Google prevede anche licenze per l'installazione
non esclusiva di Google Search e Chrome, quindi il costo di questi ultimi potrebbe essere bilanciato da altri accordi commerciali per l'inclusione di browser o motori di ricerca diversi.
La strada del forking
In risposta a una specifica richiesta della Commissione Europea, inoltre, Google ha eliminato anche il controllo preventivo sulle
versioni alternative di Android. Sinora invece un produttore di dispositivi mobili che volesse eseguire un forking di Android - partendo dalla versione open source del sistema operativo (AOSP, Android Open Source Project) - non poteva includervi le app Google senza una precisa autorizzazione. Anche questa nuova "libertà" è limitata al mercato europeo e, come la precedente, sarà attiva dal prossimo 29 ottobre.
È una decisione tecnicamente significativa ma che
molto probabilmente avrà impatti minimi sul mercato. Oggi sostanzialmente solo Amazon vende un grande volume di dispositivi tablet/smartphone (gli e-reader Kindle) basati un forking di Android. Non sembra che la possibilità di includere la suite Google nel proprio fork di Android
sia un fattore chiave nello spingere un'azienda a sviluppare appunto una sua versione del sistema operativo.
Intendiamoci: esistono innumerevoli fork di Android, ma sono
destinati ad applicazioni verticali. Si va dai sistemi operativi per NAS e router agli ambienti IoT e machine-to-machine. Nessuno di questi fork però ha necessità di includere le applicazioni di Google, quindi
non è toccato dalle decisioni di Big G. E in effetti queste applicazioni di Android non rientrano nel raggio d'azione dell'indagine della Commissione Europea.
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