Il caso ha voluto che il Red Hat Open Source Day di Milano abbia avuto luogo immediatamente dopo l'annuncio dell'accordo sull'acquisizione di Red Hat stessa da parte di IBM. Questo non ha cambiato il messaggio che la software house ha voluto dare nel suo evento, ma è inevitabile che alcuni richiami di Red Hat alla sua cultura e alla visione dell'open source acquistino, alla luce di quanto sta accadendo, un significato ancora più importante.
In questa fase è importante infatti che Red Hat ribadisca i punti principali della sua filosofia architetturale, soprattutto nel rivolgersi al pubblico degli sviluppatori che scelgono le sue piattaforme per aiutare le aziende nella loro digitalizzazione.
Da questo punto di vista - sintetizza Gianni Anguilletti, Regional Director Italia, Turchia, Israele e Grecia di Red Hat - le tre direttrici strategiche principali di Red Hat restano immutate: offrire una buona copertura funzionale con varie piattaforme specifiche (storage, Big Data, virtualizzazione...), mantenere apertura verso gli elementi complementari a Red Hat (hypervisor, middleware, sistemi operativi...) e garantire la flessibilità operativa che ha portato al modello dell'Open Hybrid Cloud. I tasselli tecnologici quindi ci sono e in abbondanza ma per Red Hat, come per diversi osservatori del mondo IT, sarebbe sbagliato fermarsi a questo aspetto. "La Digital Transformation - mette in evidenza Michel Isnard, Vice President Regional Sales EMEA di Red Hat - avviene grazie alla cultura delle organizzazioni, non è solo una questione di tecnologia ma è qualcosa di più profondo, legato a come cambia il lavoro e anche il valore che esso produce".
E se la "disruption" non si può evitare, spiega Isnard, per una azienda il punto non è solo quali tecnologie adottare ma capire come crescere in un ambiente che cambia quotidianamente. La tecnologia aiuta portando funzioni che abilitano il cambiamento ma che comunque vanno composte e adattate in base alle necessità e alle specificità della singola impresa. Che poi non deve fermarsi ai mattoni tecnologici ma aprirsi ulteriormente all'innovazione acquisendola anche da altri, ad esempio attraverso la collaborazione con le startup del suo settore.
Apertura e collaborazione sono due pilastri concettuali del mondo open source e non è un caso, secondo Red Hat, che l'innovazione oggi venga prevalentemente da quest'ultimo. "Tutte le evoluzioni più importanti del momento - spiega Isnard - sono mosse dall'open source. L'innovazione non sta nascendo nelle aziende 'chiuse'... Il mondo è aperto, contano l'interoperabilità e la portabilità". Oggi sembra banale sottolineare la carica innovativa dell'open source ma Red Hat rivendica che 25 anni fa, quando è nata, la visione che le aziende avevano del mondo open source era del tutto diversa. Anche per essere stata all'epoca così "disruptive", Red Hat ritiene di poter aiutare le aziende ad affrontare la loro disruption. "Linux è da dove siamo partiti ma non è solo un prodotto, è un modo di pensare e operare basato su apertura e condivisione", sottolinea Isnard.
Linux oggi è la piattaforma più usata dagli sviluppatori e questo secondo Red Hat è logico, perché il futuro dell'IT delle imprese è ibrido e multicloud. Ibrido perché l'hybrid cloud è la scelta migliore per coniugare sicurezza ed elasticità, multicloud perché è inutile fare gli stessi errori del passato, semplicemente evolvendo dal lock-in legato alle piattaforme operative a uno legato agli ambienti cloud dei singoli hyperscaler.
Anche qui è una questione di cultura. Sui concetti open source di collaborazione, condivisione e apertura Red Hat ha costruito la sua crescita, basando su di essi non solo lo sviluppo tecnologico ma anche i valori fondanti delle altre parti dell'azienda. "Red Hat non sarebbe Red Hat senza una sua cultura forte", sintetizza Isnard, ed è questa visione che la software house ha l'obiettivo di portare in IBM. Fare altrimenti, in fondo, sarebbe snaturare Red Hat.
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