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Akamai e la rivincita dell'edge

Il modello edge computing porta in evidenza il ruolo della periferia della rete, confermando in vari campi l'approccio che Akamai ha seguito nella gestione dei contenuti

Trasformazione Digitale Cloud
Ora che tutti parlano in vario modo di edge computing come di una evoluzione che sta mettendo in discussione la centralizzazione del cloud, il rischio è dimenticarsi che in alcuni ambiti ci si concentra da anni sulla "periferia" della rete come componente chiave. Un esempio calzante è la distribuzione dei contenuti su Internet, un ambito per cui Akamai ha realizzato una sua CDN (Content Delivery Network) da 240 mila nodi su cui transita un terzo circa del traffico web mondiale.

La logica della CDN Akamai è applicata soprattutto al media streaming ma è in pieno stile edge computing: se aspettassimo i contenuti dal centro della rete non riusciremmo mai a fruirne in maniera adeguata, motivo per cui devono essere sparsi (intelligentemente) in una rete distribuita e "densa" con nodi in prossimità degli utenti che vi si collegano. E non è un problema di banda in senso generalizzato: Akamai stima che tutte le connessioni last mile combinate a livello mondiale ammontino a qualcosa come 36 mila Tbps, molto più di quanto servirebbe per portare streaming 4K da 10 Mbps ai 2,5 miliardi di utenti Internet.

In periferia quindi la banda c'è eccome (mediamente, è ovvio). È il "centro" di Internet che non sarebbe in grado di generare flussi trasmissivi adeguati. Se i flussi dati dovessero partire da una serie di datacenter centralizzati e transitare sui backbone degli operatori, come prevede il modello classico del cloud, quei 2,5 miliardi di utenti resterebbero figurativamente a piedi, perché la banda massima del core di Internet al momento è stimabile in 72 volte meno quella della periferia.

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L'approccio orientato all'edge che per Akamai è business quotidiano promette ora di toccare ambiti molto più ampi del media streaming. "Il modello tradizionale basato sui datacenter centralizzati - spiega Alessandro Livrea, Country Manager di Akamai Italia - non funziona più. Anche le aziende che oggi offrono servizi cloud dovranno passare a modelli diversi che mettono in evidenza gli edge server. È un cambio di paradigma importante".

Spesso si associa il tema edge computing con le applicazioni IoT e il legame certamente esiste. Akamai sottolinea però che per molte imprese il primo passo dal cloud all'edge più semplicemente sarà il multicloud, che anche Gartner vede come la strategia più comunemente utilizzata il prossimo anno dalle imprese. Il passo però non è scontato, anche perché richiede di uniformare la gestione e la protezione dei dati distribuiti su cloud diversi.

Anche da questo punto di vista il modello edge computing può aiutare. Di fronte alle importanti evoluzioni che, secondo Akamai, le minacce in rete avranno nel 2019 (attacchi sempre più sofisticati e "silenti", bot che ormai fanno la metà del traffico Internet, device IoT a rischio di violazione...) è utile mettere a fattor comune la conoscenza raccolta dai vari nodi della rete, ad esempio con funzioni di analisi comportamentale per distinguere tra utenti leciti e non (o tra umani e bot).

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"Tecnologie come queste - spiega Livrea - traggono vantaggi dall'edge per questioni di scalabilità. Collocarle al centro della rete significherebbe dover creare sistemi in grado di gestire le situazioni di picco, in casa o in cloud, senza latenza. All'edge invece si fa leva su un numero elevato di nodi, tutti dotati delle funzioni necessarie".

La tendenza - sempre tra le previsioni Akamai per il 2019 - verso una sicurezza più elastica e adattabile è confermata dal declino delle tradizionali VPN. Il passaggio al cloud ha complicato lo scenario VPN perché le risorse non sono più centralizzate: "non ha più senso distinguere tra Internet e le intranet, ma non possiamo gestire un'autenticazione separata per ogni servizio", sottolinea Livrea.

Da qui la diffusione dei cosiddetti identity-aware proxy che gestiscono connessioni mirate Layer 7 per le singole applicazioni in cloud: una forma di micro-segmentazione degli accessi che sarebbe troppo complessa con l'approccio VPN convenzionale. "Nel 2019 sarà un trend importante - spiega Livrea - anche se appare difficile accettarlo a livello filosofico perché si dismette una tecnologia consolidata per una soluzione nuova, ma che nella pratica ha già evidenziato grandi vantaggi".
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