La RPA promette grandi vantaggi ma una quota rilevante dei progetti di automazione non va in porto: intervenire sui processi è sempre più complesso di quanto sembra
Quello delle soluzioni di
Robotic Process Automation è un mercato in fortissima crescita - le previsioni arrivano anche al +60 percento circa l'anno tra il 2018 e il 2023 - ma si stima che la metà dei progetti pilota di RPA non arrivi in produzione. Questo anche se molte grandi aziende che l'hanno effettivamente implementata spiegano di averne ricavato in fretta benefici tangibili. L'impulso quindi c'è, e forte, ma spesso lo sono anche gli
ostacoli tecnologici e organizzativi nel cammino verso la RPA.
La Robotic Process Automation in sintesi
Per Robotic Process Automation si intende l'uso di diversi strumenti e piattaforme al fine di
automatizzare, attraverso robot software, processi di business generalmente caratterizzati da procedure ben definite e ripetibili su dati mediamente strutturati. Un esempio fatto spesso è il controllo delle fatture, delle richieste di rimborso o di altri documenti analoghi.
La RPA quindi
riguarda in primis processi ripetitivi e con un basso valore aggiunto, per quanto indispensabili in azienda. È possibile configurare un bot automatico che li svolga da solo, ricavando dati e documenti da alcune fonti predefinite e che passi poi il risultato del suo lavoro ad altre applicazioni o a qualche operatore umano.
Fin qui niente di nuovo, infatti l'automazione software esiste da anni. La Robotic Process Automation è oggi di tendenza perché la diffusione delle funzioni di
machine learning permette di creare bot che imparano come svolgere un compito semplicemente "osservando" l'operatore umano che lo svolge di solito. Non serve quindi una programmazione esplicita, o quantomeno questa è ridotta al minimo.
Il machine learning amplia fortemente la portata della Robotic Process Automation, tanto che in molti preferiscono usare l'espressione
Intelligent Automation invece di RPA. L'ideale della Intelligent Automation è che un bot osservi per qualche tempo come un processo viene gestito nella sua normalità e quali decisioni vengono prese quando invece si verificano eccezioni a tale normalità. Questo apprendimento mette in grado il bot di
gestire il processo in maniera elastica. In confronto, la RPA in senso stretto rimanda a una gestione più schematica e procedurale dei processi.
I vantaggi della RPA
La Robotic Process Automation promette
risparmi rilevanti di tempo e di denaro. I casi d'uso più significativi sono in campo finanziario perché qui ci sono centinaia di processi di back-office schematici e ripetitivi. Il 19 percento dei controller finanziari già usa la RPA,
spiega ad esempio Gartner, e questa percentuale è destinata a salire al 73 percento in due anni.
La RPA ha portato benefici anche in altri settori.
AT&T USA cita risparmi per tre milioni di dollari l'anno nella gestione via RPA delle richieste di intervento per guasti di rete,
Baker Hughes la riduzione da 30 a 1-2 giorni nel completamento degli audit fiscali. Altri casi di successo ufficializzati riguardano aziende come
Walmart e
American Express.
Secondo una indagine di Computer Associates ed EMA Research condotta a metà 2018,
Retail e Finance sono i settori di mercato dove l'automazione software si è diffusa maggiormente. Sono questi due ambiti che mostrano la percentuale più alta (26 percento per entrambi i comparti) di aziende che si considerano allo stato dell'arte nell'automazione. Secondo l'indagine, i processi più automatizzati rientrano nelle aree
marketing, IT operations e Finance.
RPA: prospettive rosee
Non stupisce quindi che le previsioni per la Robotic Process Automation siano molto buone. Gartner ad esempio sottolinea che nel 2020 il mercato globalmente
cuberà circa un miliardo di dollari e che il 40 percento delle grandi imprese adotterà la RPA, rispetto al 10 percento attuale. Forrester va anche oltre, stimando che per la fine del 2019
il 40 percento delle grandi imprese avrà veri e propri centri di automazione con framework articolati di RPA. E persino che il 10 percento delle startup nascerà con più "dipendenti" bot che operatori umani.
Nemmeno stupisce che la Robotic Process Automation stia crescendo anche oltre i classici processi da back-office. Il McKinsey Global Institute indica in generale che è possibile
automatizzare oltre il 30 percento dei task che occupano mediamente il 60 percento del tempo di un lavoratore. Di bot che affiancano i dipendenti umani si parla già da tempo in applicazioni come l'automazione della forza vendita, la consulenza finanziaria e il supporto clienti. Magari qui non si parla di RPA ma genericamente di AI, però la sostanza è la stessa.
La Robotic Process Automation cresce anche perché
i business manager ci contano molto. Secondo l'indagine CA-EMA, è la tecnologia di automazione giudicata come il
fattore abilitante principale (65 percento di citazioni) per la trasformazione digitale. Sono più scettici - ed è già un primo campanello d'allarme - i responsabili IT, per i quali è solo al quinto posto (28 percento di citazioni) tra le possibili tecnologie per l'automazione software in azienda.
Le criticità tecniche della RPA
Pur con tutte queste buone premesse, una parte rilevante delle iniziative Robotic Process Automation non si completa. Gli ostacoli, spiegano gli esperti, sono in parte organizzativi e in parte tecnici. Partendo da questi ultimi, va considerato innanzitutto un
problema di scalabilità. Se è facile creare un bot che automatizza un processo, o un numero limitato di processi simili,
è molto più complicato creare un ecosistema di decine o centinaia di bot che automatizzano processi diversi e intersecati fra loro. Infatti gli analisti indicano che pochissime aziende - meno del 10 percento - di quelle che hanno adottato la RPA sono andate oltre la cinquantina di bot.
Non a caso, una delle professioni che si sta affermando negli Stati Uniti è il cosiddetto
automation engineer, ossia una figura capace di identificare i processi che hanno la maggiore potenzialità di automazione e poi di guidare lo sviluppo che implementerà tale automazione. È un ruolo che per ora
"emerge" soprattutto dai reparti IT e che richiede una combinazione tutt'altro che banale di competenze tecnologiche e di soft skill.
Seconda complessità: di norma i processi standardizzati sono atomici, limitati. Man mano che si amplia il raggio d'azione della RPA
i processi diventano meno statici e prevedibili: una piccola modifica in una parte di essi rischia vanificare tutta l'automazione. Serve quindi una lunga fase di
design planning per capire come applicare bene la RPA su vasta scala. Molti progetti puntano invece ad automatizzare rapidamente qualche procedura per mostrare subito i vantaggi della Robotic Process Automation. Questo però impedisce la scalabilità dei progetti.
Infine, l'automazione non è un concetto nuovo ma
i tool per la RPA sono ancora in una fase di veloce evoluzione. Scegliere la soluzione più adatta non è banale, inoltre in questa fase puntare su un solo tool potrebbe essere rischioso a lungo termine. L'alternativa - far convivere soluzioni diverse e mirate, senza puntare su un solo cavallo - non è semplice, perché eventuali aggiornamenti o patch di una piattaforma potrebbero
minare tutta l'architettura RPA che si è messa in piedi.
La RPA pone problemi organizzativi
Lo scoglio principale alla diffusione della Robotic Process Automation su larga scala spesso
non è tecnico: è che essa pone questioni organizzative complesse. Qualsiasi automazione impatta sul lavoro delle persone coinvolte nei processi automatizzati, il che genera una naturale
resistenza al cambiamento. In parte è la classica inerzia organizzativa, ma ci sono anche questioni molto più concrete e non aggirabili.
È sostanzialmente corretto indicare che un buon progetto RPA libera ore-uomo che i dipendenti coinvolti possono usare per compiti a maggior valore aggiunto, il presupposto però è che
questi compiti i dipendenti poi li abbiano davvero. In caso contrario, idealmente devono acquisire nuove competenze per svolgere altri compiti. Meno idealmente, sono ridondanti.
Una dinamica del genere si è già manifestata in ambito retail, quando i chatbot hanno automatizzato alcune fasi del supporto clienti. Varie indagini dimostrano che i clienti sono favorevoli a servirsi dei chatbot per compiti semplici, perché fanno risparmiare tempo. Ma gli stessi clienti vogliono comunque la possibilità di
fare escalation verso un operatore umano esperto, quando le operazioni sono più complesse. Chi svolge il primo livello di supporto clienti, quindi, può essere re-skillato per la seconda fase dei contatti.
Molte analisi indicano che la Robotic Process Automation
crea più posti di lavoro di quanti ne elimina, ma le medie fanno perdere di vista le singole storie: non è detto che chi viene sostituito da un bot sia poi davvero ricollocato. E le cifre in gioco sono elevate: Forrester stima che nel 2018 la RPA abbia interessato, affiancandole o sostituendole, oltre 570mila persone nei soli Stati Uniti. È quindi
solo naturale che in diversi ambiti la Robotic Process Automation sia ancora una evoluzione da prendere con le molle.