Nel concetto di digital workspace rientrano numerosi paradigmi, come lo smart working o gli strumenti di collaborazione. Ma di cosa si tratta in concreto e quali sono i vantaggi?
L’emergere e soprattutto il consolidarsi di nuovi paradigmi tecnologici ha portato a notevoli cambiamenti, oltre alla trasformazione digitale, della quale si parla molto. Anche il fenomeno del
digital workplace, che sta sempre più prendendo piede al posto della classica postazione di lavoro alla scrivania in ufficio, deriva direttamente dalle nuove tecnologie. La connettività always on, anche fuori dall’azienda, su dispositivi più vari come notebook, smartphone e tablet permette a tutti di essere costantemente produttivi. E la disponibilità crescente di piattaforme di condivisione e di conferenza realmente performanti ha fatto il resto, grazie anche alla pervasività del cloud.
Nell’era digitale, è infatti sempre più necessario che a trasformarsi debbano essere sia lo spazio di lavoro, fisico e virtuale nello stesso tempo, sia la forza lavoro, sempre più distribuita e connessa, sia infine il modo di lavorare, più agile e automatizzato. Entro il 2021, il 60% delle aziende Global 2000 adotterà quello che IDC definisceFuture WorkSpace, ovvero un nuovo concetto di spazio di lavoro in grado di migliorare l’esperienza e la produttività dei dipendenti attraverso un ambiente fisico e virtuale più flessibile, intelligente e collaborativo. Lo spazio di lavoro futuro non sarà statico o a orari prestabiliti, ma sarà ovunque, in qualsiasi momento, su ogni device, mutuando l’inclinazione di millennial e nativi digitali.
Definire il digital workplace
Ma cosa si intende esattamente per digital workplace? Come sempre, non è facile definire univocamente cosa sia in concreto l’ambiente di lavoro digitale, ma si può ricavare proprio partendo dagli elementi che lo rendono possibile, ovvero l’unione delle tecnologie di connettività, di comunicazione e di collaborazione di nuova concezione, da cui nascono modalità di lavoro innovative e più efficaci, favorite anche da modelli organizzativi orientati alle persone che migliorano il coinvolgimento e la produttività. In questo senso, il
digital workplace costituisce un sistema che allinea tecnologie, persone e processi aziendali con lo scopo di ottimizzare l’efficienza operativa, rendendo anche possibile lo smart working.
Le tecnologie abilitanti
Quali sono in concreto le tecnologie alla base del digital workplace? Abilitare il digital workplace significa utilizzare
numerosi paradigmi tecnologici, come per esempio il cloud, le soluzioni UCC, cioè di comunicazione unificata, il mobile e le piattaforme collaborative, che fanno capo a tre macro-categorie: le piattaforme, la collaborazione e infine la gestione delle informazioni. Più in dettaglio, le piattaforme comprendono le soluzioni di desktop virtualization, i servizi cloud e il mobile, mentre nell’ambito della collaboration vi sono
tutti gli strumenti di collaborazione, utilizzabili con qualunque dispositivo e gestiti on premise o nel cloud: instant messaging, social collaboration, videoconferenze e comunicazione voce, ovvero UCC, Unified Communication and Collaboration. Appartengono infine alla gestione delle informazioni le soluzioni di
analytics, content management e sincronizzazione dei file, per consentire l’accesso e la condivisione in tempo reale delle informazioni e delle applicazioni aziendali da qualunque luogo e con ogni dispositivo.
Collaborazione in primo piano
In sostanza, lo
scopo principale del digital workplace è l’utilizzo delle tecnologie per facilitare la comunicazione e la collaborazione in team, oltre alla condivisione e all’aggiornamento di informazioni. Il punto chiave è quello della
collaborazione, che può riguardare la maggior parte delle attività aziendali oppure essere limitata a un singolo task. Naturalmente, la collaborazione in azienda (come in altri ambiti) non costituisce certo una novità, ma la differenza rispetto al passato è che oggi avviene in tempo reale, grazie alle tecnologie e agli strumenti di collaborazione, che sono più completi dei semplici calendari condivisi utilizzati in precedenza.
Grazie alle tecnologie che abilitano il
digital workplace si possono infatti gestire in maniera automatizzata i flussi documentali, oppure si possono creare spazi virtuali protetti nei quali vengono scambiati in sicurezza documenti e file. Tutto questo
indipendentemente dal luogo in cui ci si trova e da quale dispositivo si sta utilizzando, sia il classico PC o notebook oppure un tablet o uno smartphone. Infine, nel digital workspace anche le risorse esterne come i clienti, i fornitori o i consulenti, possono essere coinvolte in maniera più attiva nei diversi progetti oppure nella vita aziendale.
L’ora dello smart working
La
declinazione principale delle strategie di digital workplace è quella dello smart working, che sta conoscendo da tempo un consenso crescente: oltre la metà delle aziende medio grandi ha infatti in atto, o sta lanciando, iniziative di smart working, come riportato anche dai dati più recenti dell’
Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Un’altra indagine, svolta l’estate scorsa da InfoJobs, la piattaforma numero uno in Italia per la ricerca di lavoro online, ha riportato che lo
smart working è considerato anche come una leva strategica per attrarre nuovi talenti dal 79 per cento delle aziende, che tendono sempre più a evidenziarlo come incentivo accanto ad aspetti più tradizionali come il grado di responsabilità o le condizioni economiche. Ma le ragioni del successo dello smart working vanno trovate anche nella diffusione delle tecnologie che rendono possibile la collaborazione a distanza: non si tratta solo di notebook, tablet o smartphone, ma soprattutto di piattaforme e di strumenti di condivisione realmente performanti, che spesso sono utili anche alla collaborazione tra persone presenti fisicamente nello stesso luogo, come accade nell’ufficio tradizionale, oppure che si trovino in uffici distanti ma che non operino necessariamente in modalità smart working.
UCC, ovvero la comunicazione unificata
La prima piattaforma da prendere in considerazione è quella che viene definita
UCC o UC&C, cioè Unified Communication and Collaboration, indicata in italiano come “comunicazione unificata”, per riferirsi a un insieme di tecnologie per facilitare la comunicazione e la collaborazione, all’interno come all’esterno dell’azienda. Del paradigma UCC fanno parte sia la
telefonia VoIP, la comunicazione video e la messaggistica istantanea, sia anche le piattaforme di condivisione dei file come Dropbox o WeTransfer e le chat evolute. Un punto cruciale è quello
dell’integrazione: più gli strumenti sono integrati tra loro, oltre che essere utilizzabili da dispositivi fissi e mobili, e più la comunicazione unificata è in grado di facilitare l’innovazione e la collaborazione, innalzando il livello di interazione tra le persone.
Ma c’è un altro elemento da tener presente: in ottica di supply chain allargata, la comunicazione unificata consente di potenziare anche la produttività aziendale nel suo complesso, grazie al miglioramento dell’interazione tra i molteplici soggetti, anche esterni all’azienda, coinvolti nei diversi processi di business che sono parte della cosiddetta
“extended supply chain”.
Collaborare in team
Come detto, lo smart working deve molto anche alla
collaborazione: da qui la crescente importanza assunta dalle applicazioni software per i team di lavoro, di cui sono esempio Microsoft Teams oppure Slack, solo per citare quelle oggi più gettonate. Slack è in sostanza una chat evoluta, con un’enfasi
sull’organizzazione delle conversazioni e soprattutto sull’integrazione con tutte le piattaforme di condivisione dei file: due caratteristiche che ne hanno il successo, con più di 8 milioni di utenti attivi ogni giorno. Un consenso che ha attirato le mire di altri, come dimostrato dall’arrivo, poco più di due anni fa, cioè
a fine 2016, di un forte contendente come Microsoft Teams, oggi utilizzato in più di 330mila aziende a livello globale: una cifra di tutto rispetto, se si pensa che questo numero era pari a 125mila a metà 2017 e 200mila all’inizio del 2018.
Un sicuro punto di forza di Microsoft Teams è l’integrazione con Office 365, Sharepoint, OneNote e con altre applicazioni del colosso di Redmond, oltre che il lancio di una versione gratuita, avvenuto l’estate scorsa. Insomma, la concorrenza nel settore delle app per collaborare in team si sta surriscaldando, anche perché molti si sono accorti che gli strumenti collaborativi come Slack o Microsoft Teams presentano numerosi vantaggi, come quello, rilevante, di
contribuire a ridurre notevolmente il numero delle mail scambiate in azienda o fuori, soprattutto se si guarda alle mail di tipo “botta e risposta”, validissimamente sostituite dalla chat, o quello dato dalla possibilità di creare team virtuali di lavoro in costante contatto, aspetto che favorisce in misura ancora maggiore la collaborazione tra colleghi.
Definire lo smart working
Tornando allo smart working, è opportuno ricordare la definizione che ne dà il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: "
lo smart working, o lavoro agile, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
Questa definizione, oltre a restringere il campo ai lavoratori dipendenti, richiama un altro dei fattori del successo dello smart working: la possibilità data al lavoratore “smart” di avere un r
apporto più equilibrato tra vita personale e vita professionale, derivante dall’opportunità di lavorare a casa o altrove, oltre che in ufficio. Con numerosi vantaggi a corollario, come l’auto-organizzazione del tempo, che responsabilizza le persone, in quanto viene richiesto di concentrarsi sull’obiettivo e sul risultato, e l’innegabile miglioramento della qualità della vita dovuto al fatto che non è più necessario spostarsi quotidianamente per andare in ufficio.
Quantificare i vantaggi
C’è anche chi ha provveduto a quantificare i vantaggi economici dello smart working. Non molto tempo fa, una ricerca dell’
Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, condotta su circa 600 aziende e 1.000 addetti, aveva calcolato i risparmi complessivamente ottenibili dall’adozione di modelli di lavoro orientati allo smart working. Questa modalità di lavoro innalza la qualità della vita delle persone e quindi la loro produttività, ed
è anche in grado di ridurre i costi di gestione per le aziende. I calcoli del Politecnico tengono infatti conto di questi aspetti, quantificando un incremento medio di produttività del 5,5 per cento, formato per il 3,5 per cento dal telelavoro, per l’1,5 per cento da una maggiore produttività del lavoro in mobilità e per il restante 0,5 per cento dalla riduzione dei tempi di trasferta.
Altri vantaggi, secondo il Politecnico, sono quelli diretti per le aziende derivanti dalla
riorganizzazione degli spazi fisici di lavoro, con risparmi sia nei costi immobiliari sia in quelli per l’energia, cioè illuminazione, riscaldamento e condizionamento, e anche i risparmi riguardanti le singole persone dovuti ai minori spostamenti casa-ufficio, che portano vantaggi anche in termini di riduzione di emissioni di anidride carbonica.
Stabilire i confini
La forte riduzione degli spostamenti casa-ufficio comporta anche l’ulteriore vantaggio di ampliare il ventaglio dei candidati a ricoprire le posizioni cercate, e può ricomprendere anche persone che risiedono relativamente lontano dall’azienda o che non intendono trasferirsi stabilmente nella città sede dell’azienda. In uno scenario, quale quello attuale, in cui
alcuni talenti chiave scarseggiano, si tratta di un aspetto che può davvero fare la differenza quando il candidato è chiamato a scegliere un’azienda rispetto a un’altra, soprattutto in caso di sostanziale parità nelle altre condizioni.
Va però detto che
lo smart working può anche avere alcuni aspetti meno positivi: in primo luogo, l’apparente mancanza di confini tra vita personale e lavorativa potrebbe portare a non “staccare” mai, ed è quindi necessario che il lavoratore si imponga limiti, e soprattutto che anche l’azienda non ceda alla tentazione di ritenerlo disponibile sulle 24 ore. Non va poi sottovalutato il fatto che lavorare senza colleghi intorno può essere straniante: a questo si cercherà di ovviare con incontri in azienda a cadenze regolari o in occasione di specifici progetti.
Il ruolo dell’organizzazione
Infine, è da sottolineare che lo smart working e in senso più ampio il digital workspace devono essere considerati dalle aziende soprattutto un approccio, che tenga conto sia della trasformazione digitale sia dei nuovi modelli organizzativi: se l’innovazione tecnologica aiuta a connettere sempre meglio luoghi, processi di business e persone, coinvolgendole nei gruppi di lavoro, è anche necessario adottare
approcci organizzativi che puntino sulla collaborazione. Bisogna puntare a modelli organizzativi che concorrono a realizzare la “extended enterprise”, cioè un’azienda sempre più strutturata in maniera da mettere le persone al centro di un’
organizzazione flessibile, che agevola lo svolgimento del lavoro ovunque, favorendo nel contempo la creatività delle persone, che sono notoriamente il capitale più prezioso.