Da “acceleratore” per i processi di IT operations, Ansible diventa velocemente uno strumento trasversale per l’automazione. Lo testimonia chi lo sta usando.
Se l’
automazione delle IT operations è diventata un
problema di molte imprese,
Ansible si è affermato in breve tempo come la soluzione più semplice. Ma - ed è qui l’elemento di novità - con effetti positivi che vanno anche oltre le premesse iniziali. Il modo migliore per comprendere
la “nuova” trasversalità di Ansible è ascoltare il parere di chi sta, in vario grado, procedendo all’automazione dell’IT inserendo proprio Ansible in percorsi di evoluzione già avviati, alla ricerca di vantaggi concreti nel soddisfare le necessità imposte dai nuovi modelli d’uso dell’IT.
“L’automazione - ha spiegato ad esempio
Fabio Sensidoni, Manager of Operation di
Poste Italiane, in occasione dell’evento
Ansible Automates di Red Hat - è sempre stata presente nelle operations. Negli ultimi anni ha però assunto una caratterizzazione molto diversa, per un incremento generale nell’utilizzo dei servizi digitali e per l’evoluzione tecnologica che ha portato al passaggio dalle macchine fisiche a quelle virtuali e, oggi, sempre più al modello cloud”.
Questa evoluzione rende più critici, nella gestione dell’IT, fattori come la velocità, la scalabilità e la possibilità di errori umani. I modelli di sviluppo agile, l’approccio DevOps e l’introduzione di cicli di CI/CD (
Continuous Integration,
Continuous Delivery) sempre più stretti
impongono anche alle operations modalità di lavoro molto diverse da quelle del passato, che possono essere abilitate dall’automazione. E le prospettive di ulteriore sviluppo certo non mancano: “Oggi il tema più importante per noi - ha sottolineato Sensidoni - è l’
infrastructure-as-code, cioè la possibilità di generare infrastrutture da zero, esclusivamente via codice, e di non modificarle se non modificando il codice, con un approccio che può permettere la rigenerazione completa delle infrastrutture in qualunque momento”.
Da sinistra a destra: Mario Magarò, Head of Unit Middleware Management di ISTAT, il Ten. Col. Fabio Ubaldi dell’Esercito Italiano, Fabio Sensidoni, Manager of Operation di Poste ItalianeAnche
Istat ha una visione analoga a quella di Poste Italiane. L’automazione software - ha spiegato
Mario Magarò, Head of Unit Middleware Management della società - rientra in un percorso di trasformazione digitale partito già qualche anno fa e che ha puntato anche sul modello DevOps. La spinta ad accelerare in questa direzione è venuta dalle attività legate al Censimento partito lo scorso ottobre. “Abbiamo sentito la necessità di fare una Continuous Delivery ‘importante’, per i rilasci continui legati al nuovo Censimento, e per questo ci siamo avvicinati ai playbook. Siamo partiti dalla componente engine di Ansible per automatizzare alcuni processi, ma
per noi l’ottica non è stata solo quella della velocità. L’automazione infatti non va vista solo come un elemento che rende veloci determinati processi, aiuta anche a rendere standard quel tipo di processo, ovviamente secondo le proprie esigenze”, ha raccontato Magarò.
Ansible come elemento unificante
La crescita di Ansible nelle imprese ha dimostrato
la sua capacità di assumere più ruoli, e non solo per il fatto che può automatizzare i processi di
molti lati delle operations. Di norma Ansibile entra nell’IT delle aziende come strumento per velocizzare i processi, rivelando però rapidamente il suo contributo come “lingua franca” della gestione.
“Il playbook è quasi diventato uno standard - ha sottolineato Mario Magarò di Istat - e questo è molto interessante, perché
aumenta sensibilmente il ritorno dell’investimento in Ansible. Ti permette di usare la sua tecnologia in maniera versatile, con qualsiasi vendor (Ansibile è spesso parte delle varie proposte tecnologiche che possono aiutarci nella nostra trasformazione digitale) e in qualsiasi ambito: sicurezza, networking, applicazioni, middleware. Questo è un grande punto di forza”.
“Ansible ha dato la possibilità di
costruire una conoscenza e una competenza trasversali - ha confermato Fabio Sensidoni di Poste Italiane - e questo in una organizzazione medio-grande aiuta sia nella collaborazione fra team, ossia nella possibilità di comprendere il lavoro fatto dagli altri sapendo leggere un playbook, sia nella possibilità di comporre team multidisciplinari quando occorre”.
Da sinistra a destra: Mauro Capo, Cloud and Data Center Lead di Accenture; Stefano Bovo, Head of Linux System Office di SIA; Fabio Rizzotto, Associate VP & Head of Local Research and Consulting di IDCNon guasta affatto, poi, che
il linguaggio comune sia anche un linguaggio semplice. Ad approcciare Ansible spesso sono persone che hanno una lunga esperienza di operations ma hanno sempre utilizzato strumenti come le console o la linea di comando. Per loro cambiare completamente modo di lavorare non è banale, la semplicità di Ansible nella scrittura del codice aiuta molto.
Anche grazie a questa semplicità - ha spiegato
Stefano Bovo, Head of Linux System Office di
SIA - “Ansible ci permette di stabilire un linguaggio comune tra le varie funzioni all’interno dell’azienda. Un esempio è legato alla distribuzione degli aggiornamenti software di sistema in una classica architettura IT a tre layer. Normalmente dovrebbero intervenire team differenti, utilizzando, invece, un workflow Ansible tutto il processo viene automatizzato.
Condividere un linguaggio comune fra tutti gli attori consente ad ognuno di concorrere, per la sua parte, alla definizione del workflow stesso”.
Ansible è concreto
È comunque un dato di fatto che molte imprese si avvicinano ad Ansible alla ricerca di
risultati concreti a breve termine. La buona notizia è che questi si possono effettivamente ottenere, come dimostra anche l’esperienza di SIA. “Subito dopo l’introduzione di Ansible - ha raccontato Stefano Bovo - abbiamo rilevato benefici legati all’automazione della creazione dei sistemi virtuali e alla configurazione applicativa. Nel primo caso, per la creazione di un sistema si impiegava
mediamente un paio d’ore, ora pochi minuti; nel secondo i tempi si sono ridotti da circa tre ore a un quarto d’ora”.
Il raggio d’azione sempre maggiore di Ansible permetterà a chi lo usa di andare oltre le applicazioni più immediate. “Siamo interessati ad esempio all’automazione della procedura di disaster recovery delle infrastrutture tecnologiche - ha evidenziato Bovo – e crediamo che
la pervasività di Ansible ci consentirebbe di sfruttarla anche in ambito networking, per la gestione dei sistemi Windows o per quella dei database. Tra i nostri principali obiettivi rientra l’introduzione del processo di
self-provisioning che permetterebbe al cliente interno di attivare un sistema virtuale o di gestire la configurazione applicativa di un servizio semplicemente premendo un pulsante, senza dover coinvolgere altre figure aziendali”.
Ansible porta quindi di certo maggiore efficienza, ma chi lo usa invita ad
andare oltre questo primo livello di valutazione. “Il tempo e le risorse risparmiate con l’automazione - ha commentato Stefano Bovo - sono investiti nell’innovazione, ad esempio nella formazione delle persone perché possano affrontare nuovi progetti ed essere in grado di governare le nuove tecnologie, rendendo così più competitiva tutta l’azienda”.
Ansible resta fedele alla sua semplicità
La crescita di Ansible è dovuta in buona parte alla spinta che la piattaforma ha ricevuto
dopo essere entrata nella grande famiglia dei prodotti Red Hat, ma sarebbe riduttivo pensare solo a questo. Il mercato ha mostrato di
apprezzare Ansible praticamente da subito, anche rispetto a strumenti allora popolari (il progetto è nato nel 2012) come Puppet o Chef. E non è un caso, perché Ansible nasce come loro evoluzione.
In un certo senso Ansible
è arrivato al posto giusto e al momento opportuno. Man mano che le infrastrutture IT si sono fatte sempre più articolate e “real time” con la containerizzazione, il cloud e il serverless computing, l’esigenza di uno strumento versatile ma anche semplice e “leggero” - per via del funzionamento agentless - si è rafforzata. L’automazione alla Ansible in sostanza serve perché le infrastrutture IT sono diventate troppo complesse per essere gestite manualmente. E le questioni di
complessità, scala e velocità delle IT operations certamente non vanno semplificandosi. Semmai il contrario, dato che l’evoluzione tecnologica va costantemente verso la ricerca di una sempre maggiore velocità nell’esecuzione di servizi ed algoritmi.
Ecco perché le linee di sviluppo di Ansible
vanno ancora verso una sua maggiore trasversalità. La parte delle piattaforme applicative e delle applicazioni è stata coperta sin da subito e si è man mano evoluta per il cloud e per gli ambienti a container. L’estensione alla parte networking con Ansible Network Automation è stata un naturale passo in avanti, con l’affermazione del Software-Defined Networking, della virtualizzazione delle funzioni di rete e anche del cloud ibrido. Ansible
oggi può dialogare anche con le piattaforme hardware e software per la sicurezza IT. L’unico tassello che manca - in una crescita funzionale organica che segua le tendenze e le indicazioni dei clienti - è evidentemente quello dello storage.
E andando oltre? Il punto forte di Ansible è sempre stato la sua semplicità ed è su questo che si può ancora fare leva. Il machine learning può essere la strada per
migliorare la generazione dei playbook, con algoritmi che analizzino le operazioni da automatizzare e creino codice in maniera autonoma. Un nuovo spunto per la community di Ansible.