Poche aziende hanno piani precisi per integrare realtà virtuale ed aumentata nei loro processi. La prudenza è comprensibile, ma non testare le tecnologie impedisce di comprenderne il potenziale
Per diversi analisti di mercato il 2018 doveva essere l’anno del boom per le
applicazioni di realtà virtuale e aumentata: ci si aspettava un’affermazione commerciale importante, che però non c’è stata. E che forse nemmeno poteva esserci, perché in fondo si è cominciato a parlare di
VR/AR di massa con il debutto del visore Oculus Rift, e di prodotti analoghi,
a partire da metà 2016. Difficile che in due anni si potesse passare dai primi prodotti pensati per il mondo consumer a un vero mercato diffuso, anche aziendale. I visori poi sono solo una componente dell’ecosistema che deve sostenere la realtà virtuale e quella aumentata: servono anche contenuti, applicazioni e
soprattutto la percezione di un valore concreto.
Il mercato però ha fatto passi avanti. Le evoluzioni ci sono state e
le previsioni degli analisti restano buone, anche se più conservative
rispetto a qualche tempo fa. IDC stima ad esempio che nel 2018 si siano venduti 8,9 milioni di visori AR/VR, il
6% in più rispetto al 2017. Una crescita non da boom ma pur sempre significativa, anche perché nel 2017 il mercato è stato drogato dalla “vendita” a costo zero di milioni di
visori screenless, in sostanza custodie per smartphone più o meno rifinite. Un gran numero di questi visori sono stati dati in omaggio insieme ai primi smartphone VR-ready e
hanno sbilanciato il mercato verso la forma più semplice di realtà virtuale e, parzialmente, aumentata.
Un fenomeno che ha lasciato il segno: sempre IDC stima che i visori screenless nel 2018
hanno fatto il 34,5 percento dei visori di VR, percentuale che dovrebbe scendere al 4,6 percento nel 2022, anno per cui si prevede la vendita di 65,9 milioni di visori AR/VR.
Realtà virtuale: manca una strategia
Resta il fatto che al momento
le aziende sembrano molto prudenti nell'adottare sistemi di realtà virtuale e realtà aumentata. Ci sono molti progetti business documentati in campo AR/VR, ma per ora la quota di imprese che hanno definito una
strategia precisa a medio-lungo termine è minoritaria. Facendo una media di alcune analisi di mercato recenti, meno di un terzo delle aziende ha chiaro come integrare le soluzioni di realtà aumentata e virtuale nei propri processi. Le altre imprese stanno alla finestra, si informano e aspettano.
Fanno bene?
Probabilmente no. Alcune analisi mostrano una correlazione tra questa differenza di approccio e la valutazione complessiva sulle potenzialità business della realtà virtuale ed aumentata. La maggior parte delle aziende che hanno definito una strategia, anche di massima, in campo AR/VR ritiene che sarà il segmento business a trainare il mercato. Quelle che non hanno un piano, invece, credono che a guidare sarà il settore consumer. È difficile qui separare causa ed effetto, ma la sensazione è che molte aziende non stiano considerando le tecnologie AR/VR
perché le sottovalutano, con il rischio di accumulare così un certo ritardo rispetto ai concorrenti più propensi a sperimentare.
La prudenza delle imprese non è ingiustificata. Anche le aziende più ottimiste
sono pronte a modificare in corsa le loro strategie, perché il mercato delle soluzioni AR/VR è in costante evoluzione. Le soluzioni che sembrano ottimali oggi potrebbero non esserlo più domani e comunque ci sono ancora molti tasselli tecnologici che devono ancora andare al loro posto.
Una fase di evoluzione
Per cominciare, il posizionamento delle piattaforme più avanzate di AR e VR
non è del tutto chiaro. C’è chi teme di puntare su un prodotto che poi prenderà una strada nettamente consumer e nel dubbio lascia perdere, oppure preferisce soluzioni più semplici ma meno rischiose: gli smart glasses da un lato, gli smartphone e i tablet dall’altro. Si tratta in entrambi i casi di
piattaforme ben identificate e per le quali esiste un supporto chiaro da parte dei loro produttori.
Per le applicazioni più evolute di
mixed reality e di realtà virtuale la strada dei visori da indossare è spesso la migliore ma comporta, al momento, una scelta di campo in quanto a piattaforma da usare.
Gli standard, veri o di mercato, sono pochi e nessuno degli ambienti di sviluppo di riferimento brilla per apertura verso l’esterno.
Conterà molto il supporto che alle applicazioni AR/VR daranno
i grandi nomi dell’IT, banalmente perché hanno già un piede nelle grandi imprese e possono seguirle meglio nei loro progetti rispetto ad aziende meno note. Questo rappresenta un vantaggio in particolare
per Microsoft, la cui piattaforma
Windows Mixed Reality è stata recepita da diversi hardware vendor e conta già una discreta dotazione di visori e accessori hardware.
Realtà virtuale: chi si crede e chi no
Molte piattaforme software
prevedono nativamente l'utilizzo di visori per la realtà aumentata e la realtà virtuale, ma molte altre no. Il supporto esiste ad esempio per le principali piattaforme di progettazione e design e si sta estendendo velocemente a tutto il mondo del digital manufacturing
e del BIM.
A dare una spinta alle applicazioni di VR è
il concetto del digital twin. Se si hanno i dati necessari, anche raccolti in tempo reale, per realizzare un
“gemello digitale” funzionale di un generico sistema può essere utile interagirvi in un ambiente virtuale, ad esempio per
ricreare la sensazione di operare direttamente su un macchinario che sta invece a chilometri di distanza. Oppure per “immergersi” e vedere in dettaglio il funzionamento di un sistema complesso, come un organo del corpo umano, un edificio o
tutta una Smart City.
Quando invece si tratta di applicazioni
più business-oriented, dal supporto tecnico alla consultazione di dati aziendali, tutto dipende da cosa fanno il nostro software vendor di riferimento e i suoi
partner tecnologici. Molte software house enterprise
stanno puntando sulla realtà aumentata, sviluppando moduli che consentono di “vedere” le informazioni conservate nei loro database. Al di là di queste integrazioni c’è
lo sviluppo ad hoc, che però è una strada non semplice (bisogna trovare un partner con le giuste competenze) e inevitabilmente costosa.