Prima l'enterprise, poi il cloud ibrido e ora la trasversalità dell'edge computing: il cammino di Linux e dell'open source è completo. Ma continua, secondo Red Hat.
Nel 2002 Red Hat faceva debuttare la prima versione del suo sistema operativo pensato espressamente per l'enterprise. Quel primo
Red Hat Enterprise Linux - ma numerato già 2.1 "
perché nessuno ama le versioni uno-punto-zero e quelle punto-zero in generale", spiega
Paul Cormier, Executive Vice President and President Products and Technologies di Red Hat - rappresenta l'inizio di un percorso verso un obiettivo chiaramente definito. Ossia far diventare Linux la
piattaforma standard per il mondo enterprise.
L'obiettivo è certamente raggiunto e oggi appare anche scontato. Così non era diciassette anni fa, però. Ed è stato possibile conseguirlo, spiega Cormier alla platea del Red Hat Open Source Day di Milano, perché Red Hat ha coniugato la forza propulsiva dello sviluppo open source con
la stabilità e la ricchezza di funzioni che richiedevano le grandi imprese. Il principio ovviamente vale ancora oggi. La capacità innovativa della community open source resta e non viene affatto persa o limitata. Ma i suoi benefici sono canalizzati in piattaforme che le aziende utenti
sanno essere stabili e supportate per lungo tempo.
La portata innovativa dei tanti progetti della community open source è anzi sempre più importante. Perché Linux, dopo essere diventato una piattaforma commodity che spazia dal singolo server ai grandi data center degli hyperscaler, ha puntato ad
essere una "innovation platform". Una piattaforma cioè che supporta innovazioni continue. Come lo sono, guardando al passato recente, la virtualizzazione, i
container, i
microservice, l'orchestration. E
in sostanza il cloud stesso. Che in fondo si basa su Linux e cresce grazie al suo sviluppo.
Paul Cormier, Executive Vice President and President Products and Technologies di Red HatPer Red Hat cloud vuol dire cloud ibrido, ma non nella stessa accezione di molti cloud provider. Red Hat vede il cloud ibrido come
la nuova architettura IT standard dell'enterprise. Il che richiede una apertura praticamente totale delle infrastrutture di hybrid cloud. Non semplicemente la possibilità di integrare il proprio data center con un cloud pubblico. O magari anche più di uno.
L'obiettivo è abilitare un approccio in cui, in sostanza, qualsiasi container o workload si possa spostare in qualsiasi ambiente - cloud, on-premise, edge -
a seconda di come è più opportuno. E allo stesso modo, qualsiasi servizio o funzione cloud possano essere "consumati" da ovunque. Una evoluzione che si fa ancora più articolata con gli scenari d'uso delineati dall'
edge computing. Dove la capacità di elaborare informazioni si sposta là dove le informazioni nascono. Che sia una fabbrica, una vettura autonoma, un punto vendita retail, la stazione radio di una cella 5G.
Per fare tutto questo "
ci vuole un ambiente operativo coerente che va dal bare metal agli ambienti virtualizzati, sino al cloud nelle sue varie forme", sottolinea Cormier. Un ambiente coerente che nella pratica di Red Hat è fatto principalmente da RHEL - con la recente versione 8 pensata espressamente per gli ambienti di cloud ibrido - e
OpenShift.
Gianni Anguilletti, VP Med Region di Red HatPiù ovviamente tutti i progetti che la community porta avanti in questo ambito. Perché i problemi e le questioni tecniche da affrontare sono talmente estesi che
sarebbe impossibile per una singola impresa gestirli da sola. Ed ecco perché aziende teoricamente concorrenti in diversi campi cooperano invece in alcuni progetti. Come Kubernetes, progetto che parte da Google ma in cui Google stessa ha subito coinvolto Red Hat.
In questo scenario copertura funzionale, apertura e flessibilità restano - spiega
Gianni Anguilletti, VP Med Region di Red Hat - le tre direttrici principali della software house. Ed è grazie a queste che la società "
viene considerata sempre più come un partner critico ed affidabile, anche grazie al suo ecosistema di partner ed alleanze". A maggior ragione dopo l'entrata in IBM; perché Big Blue e Red Hat hanno ben chiaro come sia essenziale
garantire la neutralità di quest'ultima. Che è uno dei suoi valori essenziali percepiti dai clienti.
Le sinergie tra IBM e Red Hat certamente possono esserci e vanno sfruttate. Queste sinergie "
stanno portando al rilascio di tecnologie congiunte che i clienti possono usare - sottolinea Anguilletti -
ma Red Hat continua a operare con la sua autonomia nello sviluppo dei prodotti e nel rapporto con i clienti". Anche perché mettere in discussione la neutralità di Red Hat sarebbe un buon modo per vanificare quei
34 miliardi di dollari che IBM ha investito.
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