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Il telelavoro alla prova del Coronavirus: a che punto siamo? Parte 3 di 3

L’emergenza sanitaria in atto ha dato una forte spinta allo smart working, anche se non tutte le aziende sono pronte a queste modalità lavorative, come spiegano alcuni system integrator

Trasformazione Digitale Mercato e Lavoro
In questo articolo conclusivo sono riportate le risposte alla seconda domanda della mini-inchiesta su come le aziende italiane stanno affrontando l'emergenza Coronavirus, che le ha spinte ad adottare, tra le altre cose, modalità lavorative di tipo smart working

ImpresaCity ha interpellato alcuni dei system integrator italiani, scegliendoli tra quelli consultati per lo Speciale Modern Workplace del magazine di febbraio scorso, chiedendo “Quali sono le principali lacune, tecniche e organizzative, che alcune aziende devono colmare?”, mentre in un precedente articolo erano riportate le risposte date alla domandaDal vostro punto di vista, quanto le imprese italiane sono pronte alla nuova concezione del telelavoro?”, dopo che in un articolo iniziale era stato inquadrato il tema.
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Gli ostacoli tecnologici

Passando quindi a esaminare le principali lacune, tecniche e organizzative, che alcune aziende devono colmare, Daniel Sperandio di ACS Data Systems non ha dubbi: “si tratta di un momento estremamente difficile per tantissime realtà imprenditoriali. Difficoltà con poche eccezioni sull'intero sistema. Praticamente non esistono settori che non sono compromessi dalle ordinanze e dai decreti relativi all’emergenza Covid-19. Questo shift improvviso crea problemi sistematici anche a livello globale in seguito all'incremento esponenziale dell’uso di tecnologie smart working”.  

In sostanza, prosegue Daniel Sperandio, "stiamo notando che in un momento di crisi in cui il social distancing è una caratteristica fondamentale, il cloud e lo smart working fungono come unica soluzione che può garantire la business continuity. Trattandosi di una situazione non proprio prevedibile, nei primi giorni si sono presentati alcuni problemi di rete che ora sembrano essere risolti. Bisogna però sottolineare che per qualsiasi azienda l’investimento in tecnologie di smart working non è che l’inizio. Perché il tutto funzioni, é necessario anche rivedere i propri processi, l´organizzazione e la cultura aziendale, monitorare i risultati e non le ore lavorate. Questo richiede tempo e non può essere implementato in pochi giorni o settimane”.

Punta l’attenzione sugli ostacoli tecnologici anche Patrizio Labella di GCI System Integrator, spiegando che “oltre a quelle realtà già pronte al lavoro da remoto, ci sono purtroppo tante aziende in Italia che sono impreparate a questo nuovo modello lavorativo. La difficoltà è rappresentata da un’arretratezza tecnologica, come può essere il caso in cui i dipendenti non siano dotati di un PC portatile né di una suite di Collaboration, dalla mancanza di una rete per gli accessi da remoto e da un legame vincolante con il ‘cartaceo’. Credo inoltre che questa difficoltà vada di pari passo con un modello organizzativo vecchio stampo che si basa sul controllo e non sulla fiducia”.

Sfruttare il potenziale

Del resto, fa notare Alberto Roseo di Lutech, “messo da parte lo scetticismo, lo smart working si è dimostrato applicabile quando la misura dei propri collaboratori riguarda gli obiettivi e non la presenza in ufficio. Poi c'è la tecnologia: la maggioranza delle aziende ha già in casa gli strumenti adeguati per la team collaboration, ma non ne sfrutta tutto il potenziale. La spinta ulteriore all'innovazione e la revisione di processi e organizzazioni sono la strada verso un nuovo modo di lavorare. Le aziende hanno oggi potuto verificarne sul campo i vantaggi: efficienza, flessibilità, riduzione dei costi di spostamento e locazione, e, perché no, anche un atteggiamento più green e attento al work-life balance dei propri dipendenti”.

Anche Fabio Luinetti di Citrix Italia sottolinea che “al di là dell’ostacolo culturale, che gioca comunque un ruolo rilevante, sicuramente c’è un problema di tecnologia aziendale che oggi, rispetto a quella consumer, è molto meno agile e flessibile. La differenza tra un’esperienza di lavoro di elevato livello e una invece ‘povera’, si traduce immediatamente in cose molto tangibili: perdita di produttività e perdita di motivazione da parte del dipendente, cose che le aziende oggi non possono più permettersi. Infine, per un reale successo di un modello di smart working e per velocitarne e facilitarne l’adozione è essenziale la cooperazione tra i reparti IT e HR”.

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Una linea che vede concorde Cristina Bonino di Consoft Sistemi: “tralasciando le problematiche legate alla connettività che può risultare particolarmente satura e rallentata per aziende che non erano già predisposte a tale modalità operativa, riscontriamo alcune difficoltà operative nella gestione dei processi di Back Office dove culturalmente si è ancora legati alla carta oppure alla firma e approvazione. Forse è proprio l’area della condivisione di documenti e processi da remoto quella su cui le aziende dovranno più intervenire in futuro. In poche settimane i dipartimenti IT e i CIO sono diventati il fulcro nevralgico delle aziende e speriamo che questa esperienza possa finalmente dimostrare la centralità dell’IT nel mondo produttivo”.

È anche per questo che Rosario Blanco di Westcon conclude sintetizzando che “le necessità che ci viene chiesto di supportare sono accedere in maniera sicura al network e alle applicazioni aziendali consentendo efficienza e produttività, abilitare la capacità di collaborare e gestire efficacemente gruppi di lavoro, clienti, fornitori, e infine estendere le risorse a tutti i lavoratori”.
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