Al Think 2020 IBM lancia i prini annunci della "nuova" IBM targata Arvind Krishna, muovendosi concretamente a tutto tondo, dall'edge all'AI passando per il Finance
L'evento
IBM Think 2020 è partito dalla
visione strategica del nuovo CEO di Big Blue,
Arvind Krishna, per affiancarla subito con una serie di
annunci concreti. Legati a quelli che per la nuova leadership della società sono ora alcuni punti chiave su cui fare leva. In questi annunci non è difficile intravedere
decisi accenni di Big Purple, piuttosto che di Big Blue. Anche quando partono con una connotazione storicamente IBM, come quelli legati al mondo Finance e all'intelligenza artificiale, assumon tratti tipici da Red Hat. Con la progressiva adozione di piattaforme "cloudificanti" e di un concetto di IT elastica e distribuita. Unificata dalla containerizzazione.
Ai CIO interesseranno in particolare le novità introdotte con
Watson AIOps. L'idea di fondo non è nuova: è diventato estremamente difficile gestire le infrastrutture IT, perché si sono fatte molto complesse. Per semplificare questa gestione servono
funzioni evolute di automazione software. L'automazione diventa più efficace se ha dietro elementi di machine learning che imparano dai problemi passati per indicare cause e soluzioni dei problemi futuri.
Il passo in più di Watson AIOps è
estendere questa concezione allo scenario multicloud delle aziende. Le funzioni di automazione e di machine learning si trovano già in diversi prodotti di IT management. Ma questi prodotti
"ragionano" da soli e non hanno una visione completa dell'infrastruttura IT aziendale. Watson AIOps cerca invece di averla,
mettendo insieme le informazioni che vengono da tutte le possibili fonti.
Il vantaggio dell'intelligenza artificiale è in questo senso poter
normalizzare e interpretare informazioni assolutamente eterogenee. E non solo definire modelli di comportamento dei sistemi. Ad esempio, le funzioni di elaborazione del linguaggio naturale possono comprendere cosa c'è "dietro" i ticket attivati per i servizi di supporto. Mentre il machine learning può gestire e correlare la grande mole di dati semi-strutturati che deriva dai file di log. In generale, l'obiettivo è arrivare a
funzioni predittive e proattive di automazione nella gestione dei sistemi.
Il cloud che si estende all'edge
Il punto chiave della visione che IBM e Red Hat hanno del multicloud ibrido sta nella possibilità di collocare applicazioni e workload dove è più opportuno per le imprese. Questo significa anche
pensare in logica edge computing. Perché sempre più aziende avranno sedi e nodi decentralizzati a cui dare comunque potenza di calcolo. Ma allo stesso tempo potendola integrare con i propri data center. E con le loro risorse in cloud.
Bene quindi l'edge computing. Ma se integrabile con il cloud in maniera stretta e semplice. Cosa che non è possibile senza
un impegno diretto e mirato dei cloud provider. Altrimenti sono le aziende stesse a doversi costruire ponti più o meno complessi tra edge e cloud. Un impegno che le imprese non hanno alcuna voglia di addossarsi. Motivo per cui esistono soluzioni come
Azure Edge Zones o
AWS Outposts.
Rispetto alla concorrenza, IBM ha adottato un approccio che appare un po' meno rigido, con la novità di
IBM Cloud Satellite. Il concetto di base è lo stesso. Creare all'interno dell'IT dell'azienda cliente una "isola" basata sulle stesse tecnologie del cloud provider. Per questo l'isola e il cloud
dialogano senza problemi. Ed è possibile spostare workload e servizi da e verso il cloud o l'on-premise.
Di norma questa isola del cloud provider si realizza con un rack di nodi dedicati. Per IBM Cloud Satellite servono invece
più semplicemente alcuni nodi Red Hat Enterprise Linux. Che possono essere già nel data center o nel nodo edge dell'azienda utente. C'è la possibilità di avere da IBM rack preconfigurati ad hoc, gli IBM Cloud Pak System, ma non è indispensabile. Qui IBM fa leva su
Kubernetes come elemento tecnologico unificante tra il cloud e i nodi satelliti. Elemento che dà ampio spazio di manovra nella gestione dei servizi attivabili e dei workload.
L'attenzione al mondo Finance
Una delle considerazioni che Arvind Krishna ha
messo in evidenza nel periodo di picco della pandemia è che molti servizi essenziali si sono mantenuti operativi
grazie alla solidità delle soluzioni IBM. Il riferimento era in particolare ai servizi finanziari. E al fatto che la stragrande maggioranza delle realtà che li erogano hanno, da qualche parte al cuore dei loro data center, sistemi IBM. Molto probabilmente
mainframe.
IBM però non ha la stessa presenza se ci spostiamo dai data center al cloud infrastrutturale e PaaS. Da qui l'idea, già lo scorso anno, di realizzare insieme con Bank of America
un cloud con tutte le funzioni necessarie per le banche, le istituzioni finanziarie e le software house che vogliono sviluppare soluzioni cloud per il Finance. In sintesi, l'obiettivo era
trasporre in cloud la solidità e l'affidabilità che le realtà Finance già vedevano nei sistemi IBM tradizionali.
Il frutto di questo lavoro è il cosiddetto "financial services-ready public cloud". Un lavoro che deve aver soddisfatto IBM se consideriamo che oggi alla guida di IBM Cloud c'è
Howard Boville. Che arriva proprio da Bank of America, dopo aver collaborato con Big Blue allo sviluppo del progetto.
Finalizzato il financial services-ready public cloud,
ora IBM lo apre. La novità è infatti il lancio di un programma mirato per ISV e fornitori di applicazioni in SaaS. Che sono stimolati a usare il cloud finanziario di IBM per la loro evoluzione. Puntando sul fatto che molti sono ancora legati al mondo IT tradizionale
ma vorrebbero fare il salto al cloud. E che le tecnologie Red Hat sono probabilmente già nel loro DNA.