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Cloudification delle reti Telco: il cammino di TIM e Red Hat

TIM ha in atto un percorso di cloudification della sua rete di telecomunicazioni, basato anche sulle piattaforme di Red Hat

Cloud
Diversi grandi operatori di telecomunicazioni stanno facendo evolvere rapidamente le proprie infrastrutture in ottica software-defined. In primis per l'esigenza generale di avere reti e sistemi più elastici e personalizzabili rispetto a quelli tradizionali. Ma anche sulla spinta del 5G. Che intrinsecamente prevede, per dare tutti i suoi vantaggi, un core della rete "cloudificato". Ossia basato sulle stesse tecnologie e gli stessi modelli del cloud.

Anche TIM sta seguendo un percorso di questo genere. Puntando sempre più sulla virtualizzazione delle funzioni di rete. Anche per delocalizzarle là dove sono più necessarie e non solo al centro della core network. Gli approcci di Network Function Virtualization che TIM sta seguendo sono basati in parte su tecnologie Red Hat. Per questo Simone Ruffino, Cloud Architect in TIM, ne ha parlato in occasione del recente Red Hat Summit 2020. Dando diverse indicazioni potenzialmente interessanti per chi intende affrontare la medesima trasformazione della propria rete.

Il percorso di cloudification definito da TIM parte da lontano, avendo preso il via nel 2016. Ma ha già dato frutti importanti, perché - ha sottolineato Ruffino - è anche grazie a questa evoluzione che la rete TIM ha potuto gestire senza problemi i picchi di traffico che si sono generati qualche mese fa, nella fase più "intensa" del lockdown. All'inizio sono state toccate le funzioni più semplici da virtualizzare. Man mano, il programma si è esteso per numero di funzioni virtualizzate, server e sistemi di storage messi in campo, siti coinvolti.
redhat tim nfv 1Attualmente TIM conta 67 VNF distinte in produzione e sette siti "telco cloud" di produzione basati su OpenStack o tecnologie VMware. Quattro siti adottano entrambe le tecnologie. Un ottavo sito svolge il ruolo di ambiente di test, per lo sviluppo e la validazione delle funzioni di rete. Nel complesso l'infrastruttura OpenStack comprende oltre 700 server, più di 300 TB di storage, circa 70 Gbps di traffico di rete gestito dalle VNF per ciascun sito.

I punti da ricordare

La virtualizzazione ha toccato le principali funzioni di core network per TIM. Sia a livello di data plane sia per il control plane. Il che dimostra anche sul campo l'adattabilità della NFV e di OpenStack. Dato che il primo gruppo di funzioni impegna pesantemente la parte di rete e il secondo è invece CPU-intensive e molto sensibile alla latenza. I progetti specifici ora in fase di sviluppo riguardano la virtualizzazione in ambito 5G e l'adozione di componenti di orchestrazione. Ma anche l'implementazione di OpenShift come piattaforma PaaS rivolta al team di network engineering.

"Gestire un ambiente così complesso e un numero così elevato di VNF è un processo difficile, che ti insegna molte cose", ha messo in evidenza Simone Ruffino. Il primo "insegnamento" è che le funzioni di rete virtualizzate relative al data plane richiedono una ottimizzazione molto accurata, e di basso livello, per raggiungere le massime performance. "Ci sono molti particolari che vanno configurati e ottimizzati per avere il livello di prestazioni che il team di engineering si aspetta", ha evidenziato Ruffino.

L'esperienza di TIM mette anche in evidenza altri punti positivi e negativi. Tra i primi, il valore crescente di Heat - il modulo di OpenStack dedicato all'orchestration, usato da TIM per descrivere le VNF ed eseguirne l'onboarding - come linguaggio comune per implementare il modello di Infrastructure-as-Code. Tra i secondi, la necessità di una maggiore cooperazione e integrazione tra i vendor che forniscono i componenti base per la virtualizzazione, dall'hardware in su. Una cooperazione che favorirebbe molto la comprensione e la risoluzione dei problemi che si verificano nel funzionamento delle VNF.
redhat tim nfv 2Ruffino segnala anche alcuni fattori non strettamente tecnici ma ugualmente importanti. Innanzitutto, un ambiente basato sulla NFV è molto diverso da quelli tradizionali. In questi ogni vendor è quasi un mondo a sé, autonomo, e richiede skill specifici. Nella cloudification si opera contemporaneamente su livelli diversi e questo richiede di avere un team multidisciplinare. Che abbia al suo interno competenze legate alla rete, all'infrastruttura, alle applicazioni.

Analogamente, se si punta - come in effetti si dovrebbe fare - alla NFV per avere una maggiore agilità infrastrutturale, si devono poi di conseguenza assimilare anche altri approcci ugualmente elastici - in stile DevOps - alla gestione dei processi. In particolare Ruffino sottolinea che "il framework di automazione è quasi importante quanto la stessa infrastruttura per poter davvero essere rapidi nello sviluppo e nell'attivazione di nuovi siti".

Pollice su, pollice giù

I progetti di evoluzione tecnologica portati avanti da grandi utenti come TIM servono a dimostrare l'efficacia delle tecnologie, in questo caso OpenStack. Ma anche ad evidenziare cosa andrebbe migliorato. E qui Simone Ruffino mette in evidenza soprattutto un problema vissuto da molti: gli aggiornamenti "a caldo" delle componenti software infrastrutturali non sono mai indolori. Per TIM il passaggio da OpenStack 10 alla versione 13 "ha richiesto molto sforzo, molti preparativi e molti test, anche se abbiamo potuto completarlo nei tempi previsti".
rete network cloudNon tutto di OpenStack è poi subito pronto e adatto per le esigenze di chiunque. Nella visione di un grande utente come TIM alcuni moduli sono troppo basici, in partenza. Neutron in particolare qui non brilla. "Per le VNF complesse che richiedono all'infrastruttura funzioni di networking e di routing evolute, non è abbastanza. Ecco perché pensiamo che una vera soluzione SDN dovrebbe essere integrata con l'offerta di base", spiega Ruffino. In questo senso TIM si è mossa direttamente e sta testando l'integrazione di OpenStack con Juniper Contrail.

Anche chi sviluppa NFV deve fare uno sforzo in più. Per TIM ci sono ancora poche NFV sviluppate davvero per operare al meglio in una infrastruttura cloud. "Specialmente all'inizio del nostro percorso abbiamo visto troppi semplici porting dal fisico al virtuale... Oggi c'è bisogno di ripensare le applicazioni con un approccio cloud-nativo", mette in evidenza Simone Ruffino. Anche qui TIM si sta muovendo autonomamente, sfruttando le caratteristiche della OpenShift Container Platform.
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