Alberto Filisetti, Country Manager Italia della società, commenta i risultati del nostro Paese nella terza edizione dell’indagine globale sull’adozione del cloud
È arrivata alla terza edizione l’indagine di Nutanix sull’adozione del cloud. Per commentarla, ImpresaCity ha colto l’occasione per una chiacchierata con
Alberto Filisetti, Country Manager di Nutanix Italia. Ma prima di entrare nel vivo dello studio, c’è lo spazio per
qualche flash sull’andamento del business in Italia, che “
sta procedendo molto positivamente, anche al di là di ogni nostra aspettativa”, racconta Filisetti, spiegando però che “
questo non significa che non vi siano difficoltà, come per esempio quelle legate al fatto che continuiamo a lavorare da remoto, visto che i nostri uffici saranno chiusi almeno fino a settembre, e questo ci penalizza un po’, soprattutto con i nuovi clienti, perché sappiamo bene quanto essere presenti di persona sia in grado di fare la differenza”.
Nonostante questi ostacoli, Filisetti mostra
ottimismo per il futuro, sia guardando all’andamento del business, sia anche in relazione alle scelte legate al piano Next Generation Europe, che “
se i programmi saranno bene delineati, daranno sicuramente una grossa mano a sostenere il trend positivo di crescita in atto”. Parlando specificamente di settore IT, secondo Filisetti si apre nei prossimi mesi l’opportunità per fare “
innovazione vera, cioè quella che impone talvolta di gettare il cuore oltre l’ostacolo, cosa che in Italia non è mai così scontata, visto che non siamo portati per essere ‘disruptive’, come invece lo sono altri. Questa volta potremmo davvero innovare in
Alberto Filisetti, Country Manager di Nutanix Italiamodo da tornare a essere competitivi a livello globale”.
Terza edizione
Chi invece al momento
non ha problemi di competitività è Nutanix stessa, che anche con
la nuova leadership “
continua a trasformarsi e lo fa sempre nella giusta direzione, come è dimostrato dal successo di mercato”, sottolinea Filisetti. Ma di certo è anche importante per Nutanix avere costantemente
il polso dello scenario tecnologico: l’indagine Enterprise Cloud Index serve proprio a questo scopo. Si tratta infatti di uno
studio globale che misura il progresso delle imprese nell’adozione di cloud privati, ibridi e pubblici. Nell’edizione di quest’anno, condotta da Vanson Bourne su
3400 aziende di tutto il mondo, 100 delle quali in Italia, è stato anche chiesto quale è stato l'impatto della pandemia Covid-19 sulle decisioni attuali e future relative all'infrastruttura IT, e come la strategia e le priorità IT potrebbero cambiare conseguentemente.
Risposte in linea
Esaminando nel dettaglio le principali risultanze dell’indagine, “
le risposte dell’Italia non si discostano molto da quelle globali”, commenta Filisetti. Se infatti la ricerca ha rivelato globalmente la presenza di piani di business volti a
reindirizzare in maniera decisa gli investimenti verso architetture cloud ibride nel corso dei prossimi cinque anni, l’Italia è molto in linea con tale tendenza, corroborata dal dato che vede il cloud ibrido come modello operativo IT essere
ritenuto ideale dall’88% degli intervistati del nostro Paese, perfettamente in linea con il dato globale dell’87%.
Non è quindi un caso che le aziende in Italia stiano intraprendendo diversi step verso l’adozione del modello ibrido, come per esempio la
dismissione dei data center tradizionali, ovvero non abilitati al cloud, con la contestuale adozione di cloud privati e pubblici, che verranno successivamente integrati in un ambiente ibrido gestito in modo coerente. Infatti,
solo il 4% degli intervistati italiani che riferisce di utilizzare esclusivamente data center non abilitati per il cloud.
I motivi per cambiare
Va però detto che l'Italia riporta il più elevato utilizzo di cloud privato rispetto a qualsiasi altro Paese, con il
35% degli intervistati che utilizza esclusivamente cloud privato. Tuttavia, il 52% dei rispondenti nel nostro Paese ha in programma per il prossimo anno di eseguire più applicazioni in cloud pubblici. Non solo:
nell’arco dei prossimi cinque anni, il 56% delle aziende italiane passerà a un modello di cloud ibrido integrato, mentre l’utilizzo esclusivo di modelli tradizionali di data center e cloud privato è previsto solo nel 5% delle implementazioni durante lo stesso periodo di tempo.
Guardando invece ai
tre principali motivi alla base del cambiamento delle infrastrutture in Italia, vi sono nell’ordine il
miglioramento del supporto fornito ai lavoratori da remoto (62%), un migliore
controllo dell'utilizzo delle risorse IT (54%), e una maggior
flessibilità per soddisfare le esigenze di business (49%). Il risparmio sui costi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, si posiziona all'ottavo posto, con una percentuale del 12%, ben inferiore a quella Emea, pari al 20%, e a quella globale del 27%.
Per quanto invece riguarda l’
impatto della pandemia, tre quarti (75%) degli intervistati in Italia hanno affermato che il Covid-19 ha fatto sì che l'IT sia considerato molto più strategico in azienda. Inoltre, un sorprendente 69% degli intervistati di aziende italiane ha dichiarato di aver aumentato i propri investimenti nel cloud ibrido come diretta conseguenza della pandemia. “
Si tratta di una sorta di ‘rivincita’ dell’IT, che ancora in molti contesti veniva vissuta quasi come un ‘male necessario’, mentre oggi si è capito forse definitivamente che l’IT deve essere trainante per il business”, sottolinea Filisetti.
Perché l’ibrido
In effetti, se la pandemia ha costretto molte aziende, anche in Italia, a
utilizzare infrastrutture di cloud pubblico per supportare rapidamente un gran numero di lavoratori da remoto, è anche vero che “
le aziende italiane hanno capito che il modello cui erano abituate non era più sostenibile, soprattutto in ottica di digital transformation: ecco perché oggi in Italia si punta con convinzione e decisione al cloud ibrido, un modello che rappresenta di fatto la chiave di volta per la business agility”, prosegue Filisetti.
È noto infatti che un
ambiente cloud ibrido integrato è in grado di fornire esperienza, strumenti e procedure operative coerenti tra diversi cloud privati e pubblici, ma soprattutto contribuisce ad abbattere i silos, ridurre le inefficienze, dare impulso alle iniziative digitali. In quest’ottica, quello che conta è “
creare un’infrastruttura flessibile, scalabile e agile al punto giusto per soddisfare sia le esigenze quotidiane di business sia le sfide future delle aziende. Ma è anche importante puntare allo sviluppo delle competenze IT necessarie per gestire con efficacia gli ambienti cloud ibridi e l’infrastruttura stessa, oltre a fare sì che le aziende italiane facciano evolvere il loro mix di ambienti indipendenti in servizi cloud privati e pubblici integrati con funzionalità unificate di visibilità, gestione, sicurezza e portabilità delle applicazioni”, conclude Alberto Filisetti.
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