La software house francese punta sulle qualità del "giusto mezzo", anche nelle soluzioni per il retail: abbastanza grandi da essere solidi, non troppo da dover essere generalisti
Nel settore
retail la digitalizzazione è iniziata prima che altrove, sulla spinta di
un consumatore sempre più digitale e decisamente orientato al concetto della multicanalità. Questo non vuol però dire che la Trasformazione Digitale fosse scontata e ben assorbita: anche nel retail la pandemia e i lockdown hanno fatto da
acceleratori "obbligati" per chi non era ancora salito
con convinzione sul treno del digitale. Anche perché molte delle logiche usate sinora dai retailer non sono più molto applicabili.
La logica che oggi sembra obbligatorio seguire non è, in realtà, una sorpresa: il punto vendita
deve cambiare e con esso il modo di operare delle persone che ci lavorano. Puntando non tanto ad una generica maggiore produttività quanto alla capacità di lavorare in maniera più fluida
all'interno di un approccio realmente multicanale ed integrato. Sembra ovvio e logico, non lo è necessariamente lato IT. La pandemia ha colpito tutti e la prima esigenza dei retailer, oggi, è razionalizzare la rete degli store fisici, eliminare gli sprechi, non perdere occasioni di vendita.
Per questo serve anche fare in modo che le informazioni gestionali, ad esempio gli stock di magazzino, siano davvero
messe in comune e sfruttate bene in tutti gli anelli della catena di distribuzione e di vendita. Anche per aspetti apparentemente ovvi come l'unificazione degli stock. che "
È indispensabile - spiega
Mario Davalli, Country Manager
Cegid per il Sud Europa -
per servire i consumatori ormai abituati agli acquisti online. Molti retailer avevano invece inventari separati per singolo negozio, per nazione o per ambito di vendita: store oppure ecommerce. In questo modo si generano sia rotture di stock sia eccedenze, cosa che oggi non è più ammissibile".
Già semplicemente l'unificazione degli stock permette di attivare
modalità di vendita nuove per molti retailer. E sicuramente di interesse per i consumatori, specie considerando che
molto è cambiato con la pandemia ma una cosa no: gli acquisti sono spesso d'impulso e
non si deve perdere l'attimo perché non si ha il prodotto giusto al momento giusto. Il cambiamento semmai è che quel "non si ha il prodotto" è diventato "non si può fornire il prodotto". Non occorre cioè avere necessariamente il prodotto in negozio in quel momento. È certamente meglio, ma se si ha
una visibilità veritiera su uno stock "unificato" si può anche fare in modo che il cliente ritiri il prodotto in un punto vendita vicino casa. O che questo glielo spedisca in tempo (quasi) reale.
"
È il concetto dello scaffale infinito", spiega Davalli. La possibilità di scelta del consumatore si estende a tutto lo stock raggiungibile, evitando la frustrazione di voler acquistare un prodotto che non è disponibile. Perché in qualche modo
comunque lo diventa. Abilitare questo scaffale virtualmente senza limiti è una delle funzioni che offre la piattaforma
Cegid Retail, definita di "unified commerce" proprio perché la gestione ottimizzata di stock ed approvvigionamenti è la base per qualsiasi modalità di vendita omnichannel. Da quelle classiche in negozio o via ecommerce al click-and-collect sino al
ship-from-store.
Cegid Retail però non è solo vendite, stock e logistica. C'è anche una
componente di CRM che non intende fare concorrenza alle Salesforce del caso ma che sta diventando sempre più importante per i retailer. L'idea di fondo è che se ai sales assistant si chiede di dare più valore agevolando le vendite, bisogna anche
fornire loro gli strumenti e le informazioni per poterlo fare. Bisogna cioè mettere letteralmente loro in mano funzioni di CRM business-to-consumer. Non per fare campagne marketing ma per dialogare meglio con i clienti conoscendone abitudini e preferenze. Formalizzare, in un certo senso, quello che gli store manager esperti già fanno, ma manualmente, con i clienti più pregiati e fidelizzati.
La specializzazione che vale
In questo senso
Cegid ritiene che la specializzazione premi ancora. Quello del retail è un segmento che interessa qualsiasi software house ma che spesso fa fatica a recepire le grandi piattaforme ERP, CRM o SCM generaliste. Anche perché il retail evolve in maniera troppo rapida per poter assimilare i classici progetti IT pluriennali. "
L'obiettivo di Cegid è più mirato: raccogliere le informazioni che servono davvero per vendere meglio e veicolarle al punto vendita. Di fatto è creare un layer intermedio che collega i dati già presenti in azienda e li porta al punto vendita", sintetizza Davalli.
Il tutto con un
approccio SaaS che
piace ai retailer, non solo perché facilita l'accesso alla tecnologia ma anche, in particolare, perché sposta sulla software house il peso della sicurezza e della
compliance normativa, in tutte le nazioni in cui opera. "
I retailer che crescono - sottolinea Davalli -
oggi sono operatori internazionali che hanno, quindi, esigenze globali. Anche quelle realtà che magari non hanno tanti punti vendita ma mantengono una presenza strategicamente globale... La compliance comporta un carico di gestione che in sé non ha ovviamente valore aggiunto per i retailer, che vedono come un vantaggio potercelo delegare". E lo stesso vale per le procedure e le certificazioni legate alla cyber security.
La specializzazione di Cegid sul retail - e nemmeno su tutto, ma su brand specializzati e luxury - non implica una ridotta capacità tecnologica. "
Abbiamo fatto una scelta di campo che paga - spiega Davalli -
non puntando a diventare un grande colosso del software ma mantenendo una dimensione industriale adeguata, con investimenti importanti che permettono ai nostri clienti di sentirsi tutelati". Investimenti che sono
sia infrastrutturali sia di ricerca e sviluppo, con un terzo circa del personale dedicato appunto alle attività R&D. Compresa tra l'altro la co-creazione di nuove soluzioni insieme ai clienti.