Il Digital Economy and Society Index 2020 ci pone in fondo alla classifica UE: il nodo chiave resta quello delle skill digitali, che si riflette su ogni ambito
Connettività a banda larga (e magari ultrabroadband), skill legati al digitale, utilizzo di Internet da parte dei cittadini, digitalizzazione delle imprese, sviluppo di servizi pubblici digitali. Sono gli indicatori che portano a definire il "punteggio" di ogni nazione nel
Digital Economy and Society Index dell'Unione Europea. E che anche per l'
edizione 2020, riferita alle rilevazioni del 2019,
non delinea un ritratto piacevole dell'Italia. Proprio all'inizio del suo auspicato percorso di rilancio.
Dal 2015 ad oggi l'Italia è cresciuta, come Index, leggermente più della media UE degli incrementi di competitività digitale dello stesso periodo. Ma resta ancora indietro nel punteggio DESI, collocandosi per il 2020
al venticinquesimo posto su 28 nazioni. Peggio di noi hanno fatto solo Romania, Grecia, Bulgaria. E come sempre in cima alla classifica ci sono le nazioni del Nord: Finlandia, Svezia, Danimarca, Olanda.
Cosa frena l'Italia?
Un po' le infrastrutture di rete. Se per la connettività su rete fissa in generale non ci possiamo lamentare (siamo ottavi), siamo indietro (quattordicesimi) nella diffusione delle connessioni fisse a larga banda, da oltre 30 Mbps, e soprattutto (posizione 22) nella diffusione delle
connessioni oltre il gigabit. Che sono praticamente assenti nelle zone catalogate come rurali.
Quello che non ci aiuta è il "take up" della banda larga.
Anche dove le connessioni ci sono, sono sottoutilizzate rispetto alla media UE. Solo il 60% circa delle famiglie italiane ha un abbonamento broadband rispetto ad una media dell'80% circa (siamo terzultimi per questo aspetto). Ovviamente va peggio per le connessioni da almeno 100 Mbps (dietro di noi solo quattro nazioni). Non aiuta che quasi l'80% delle connessioni italiane sia solo xDSL e non di meglio.
Lato mobile invece la situazione è buona. La
copertura 4G italiana è quasi totale - ma lo è in tutte le nazioni UE, infatti in classifica siamo diciannovesimi - e il numero di
progetti 5G implementati al momento delle rilevazioni (13) è
uno dei più elevati. Bene anche che l'Italia sia la nazione UE che ha già allocato più spettro radio possibile per le comunicazioni wireless di nuova generazione.
Competenze ed imprese digitali
Il problema chiave dell'Italia, peraltro noto, è la
poca diffusione delle competenze digitali. Per il Digital Economy and Society Index siamo
complessivamente ultimi nella UE. Più in dettaglio: quartultimi per le competenze di base nell'utilizzo dei software, che possiede circa il 45% dei cittadini (la media UE è 60%), terzultimi per l'utilizzo dei servizi transazionali online, quintultimi per il tempo speso sul Web.
Questa poca propensione digitale si riflette anche sul mondo delle imprese. Il
Digital Intensity Index, che misura l'utilizzo nelle aziende di varie tecnologie digitali, ci vede
ventunesimi. L'utilizzo di servizi cloud di "complessità medio-alta" si ferma al 15% circa delle aziende (media UE circa 19%). Solo il 7% delle aziende italiane analizza Big Data (media 12%) e meno del 10% vende online sul suo sito (media 15%). Per tutte le varie classifiche di dettaglio, siamo
più vicini al fondo della classifica che alla sua metà.
Non stupisce, in questo scenario, che
anche la PA arranchi. Siamo ultimi nella UE per obbligo di inviare documenti digitali alle amministrazioni. Ma miglioriamo nella possibilità di avere moduli genericamente già pre-compilati dalle PA con i dati già conosciuti e di compiere completamente in digitale alcune transazioni con la PA. Lo scenario che si intuisce è quello di una digitalizzazione della PA
in miglioramento,
spinta da alcuni processi e servizi particolarmente riusciti. Tra l'altro, l'Italia è tra i Paesi UE in cui i servizi della PA per le imprese operano meglio a livello trans-nazionale e dove si fa più uso di Open Data (siamo ottavi).
Guardando in avanti
Le medie possono dire molto o poco, come si sa dai tempi dei polli di Trilussa. E le cifre del 2019 non contemplano ovviamente la forte
accelerazione della digitalizzazione (forzata, ma tant'è) del periodo pandemia. Anche nella valutazione UE ci sono segnali positivi per l'Italia. Che ad esempio ha una posizione importante nel mercato collegato alla raccolta e all'elaborazione digitale dei dati. Nella UE è stimato in
72 miliardi di euro per il 2018 ed è fatto, per il 75%, da sei nazioni: Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Olanda.
Il segnale positivo principale sta probabilmente
nell'importanza che l'ICT ha ormai nel tessuto imprenditoriale italiano. In campo ICT in Italia lavorano circa 650 mila dipendenti, il 9% della forza lavoro nazionale. E l'Italia nel 2017 ha investito qualcosa come 2,4 miliardi in ricerca e sviluppo in campo ICT. Solo Francia, Regno Unito e Germania impiegano più persone e investono più di noi.
Il segnale negativo è che
l'Italia si muove poco dalle posizioni che ha conquistato di recente. Il punteggio complessivo e quelli per i singoli ambiti dell'Index europeo variano molto poco nel tempo e non sempre in crescendo. E
restano comunque sempre sotto la media UE. Considerando la media del periodo 2015-2018, l'Italia fa infatti segnare gap con la media UE per l'indice complessivo (37 contro 48), la connettività (59 contro 62), le competenze digitali (27 contro 42), l'uso di Internet (34 contro 47), l'integrazione delle tecnologie digitali in azienda (19 contro 41), la PA digitale (52 contro 56). Se c'è
una occasione per migliorare velocemente, è il caso di coglierla.