Aumenta la quota dei progetti di Smart City in produzione, resta il nodo delle competenze. Ma anche qui il PNRR darà una mano.
Diversi analisti hanno confermato, più volte nel corso del recente passato, che gli italiani hanno un marcato - e ottimistico - interesse verso lo sviluppo delle Smart City nazionali. Ora lo ribadisce l’Osservatorio Smart City della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui questo interesse sta spingendo le amministrazioni locali a concretizzare un numero crescente di progetti "smart". Il 28% dei Comuni infatti ha avviato almeno un progetto nell’ultimo triennio, una percentuale che sale al 50% se consideriamo solo i centri con oltre 15 mila abitanti.
Questa differenza tra grandi e piccoli centri resta un elemento di attenzione. "Sono soprattutto le città sopra i 15.000 abitanti a dotarsi di tecnologie e soluzioni smart", conferma Giulio Salvadori, direttore dell’Osservatorio Smart City. E se i grandi centri considerano a larga maggioranza (80%) il tema Smart City come molto rilevante, questa percentuale si dimezza per i centri minori. Che quindi si dotano di meno professionalità specifiche: nel 72% delle grandi città è presente un referente per la Smart City, che ha invece solo il 31% dei Comuni più piccoli.
Fatta salva questa criticità, i segnali positivi per le Smart City italiane non mancano. Metà dei progetti dei Comuni italiani sono in fase esecutiva - nel 2020 erano solo 1 su 4 - e non solo sperimentale. Si amplia la gamma delle tipologie di progetto, al momento incentrate su controllo del territorio (58% dei progetti censiti), Smart Mobility (57%), illuminazione pubblica (56%). E la propensione alla maggior spesa in progetti smart c'è: il 33% dei Comuni italiani intende metterne in campo di nuovi entro il 2024.
Un ruolo chiave lo giocheranno ovviamente i fondi del PNRR: oltre 10 miliardi di euro, "sparsi" in varie Missioni del Piano, a cui i Comuni italiani hanno tutte le intenzioni di attingere. Investendo soprattutto in interventi di digitalizzazione ed innovazione (76%), infrastrutture sostenibili (61%) e transizione ecologica (56%). Tra l'altro, i fondi a disposizione dovrebbero permettere ai Comuni "smart" di superare quelli che sono percepiti come i due maggiori ostacoli sulla strada delle città intelligenti: la mancanza proprio di risorse economiche (citata dal 43% del campione dell'Osservatorio) e la necessità di dotarsi di nuove competenze tecniche e organizzative (47%).
Quello delle competenze tecniche è un nodo importante anche perché una Smart City è pure, intrinsecamente, una città la cui gestione è guidata dai dati. Che devono essere raccolti, organizzati, contestualizzati, analizzati, tradotti in azioni pratiche. In questo senso, l'Osservatorio ha identificato e formalizzato i principali modi in cui le Smart City (o più precisamente le entità pubbliche e private che le compongono) possono sfruttare i dati che raccolgono: ottimizzazione dei processi, supporto alla definizione di politiche pubbliche, creazione/personalizzazione di prodotti/servizi, monetizzazione diretta dei dati, advertising mirato.
Tutte possibilità interessanti, ma che vanno messe in pratica. Ancora il 40% dei Comuni italiani non utilizza adeguatamente i dati raccolti. Anche se il 33% ha intenzione di farlo in futuro, riconoscendone l’importanza strategica. Ma senza piattaforme tecnologiche adatte e senza una "data strategy" sensata non si possono avere analisi predittive, simulazioni, interventi mirati in tempo reale. In sostanza, quello che fa davvero una Smart City.