Digitalizzazione e automazione hanno guidato sinora la trasformazione del mondo industriale. Ora i concetti chiave cambiano e coinvolgono sempre più imprese. Con l’Italia in prima fila.
Ne è passata di acqua sotto i ponti della tecnologia da quando Fanuc è nata, prima come costola di Fujitsu e poi come azienda pienamente indipendente. È un percorso di oltre sessant’anni in cui l’azienda si è sensibilmente evoluta, sviluppando le tecnologie chiave prima per il controllo numerico e poi anche per la robotica industriale, ma soprattutto è cambiato il ruolo che l’automazione ha saputo conquistarsi in praticamente ogni settore produttivo.
“Anche settori che sono percepiti come ‘analogici’, addirittura artigianali, impiegano invece l’automazione e sono grandi utenti di soluzioni Fanuc” spiega Marco Delaini, Managing Director di Fanuc Italia. Per il nostro Paese possiamo pensare ad esempio all’industria del mobile o a tutto il mondo Food&Beverage. D’altronde l’Italia è il secondo mercato europeo per il produttore giapponese. Addirittura il primo, se non consideriamo il segmento automotive, che è quello “storico” di applicazione delle tecnologie connesse alla robotica.
Per una nazione che fa sempre fatica a considerarsi all’avanguardia tecnologica, l’automazione industriale (più precisamente, il combinato di robotica e controllo numerico) è invece un settore di primo piano. Le imprese italiane sono grandi utenti di tecnologia (nel 2021 ne hanno “consumata” per 4,6 miliardi di euro) ma la usano per creare valore. Ossia per realizzare altre soluzioni di automazione e macchine utensili da proporre in particolare sui mercati esteri. Per un volume complessivo di affari, sempre nel 2021, di 6,3 miliardi di euro.
Cifre che, sottolinea Delaini, ora cresceranno anche grazie all’impulso che viene dal PNRR. Le previsioni per il 2022 parlano infatti di 5,2 miliardi di euro investiti in tecnologie dalle imprese italiane, con una produzione di tecnologia e prodotti per un controvalore di oltre 7 miliardi. In questi ambiti, rimarca Delaini, “a livello globale siamo percepiti come innovatori, è uno dei pochissimi settori in cui produciamo tecnologia”.
Il 2021 è stato un po’ un anno record per l’Italia “robotica”: secondo i dati SIRI (Associazione Italiana di Robotica e Automazione), complessivamente nel nostro Paese i robot installati nel 2021 sono stati oltre 11.500, il 50% in più rispetto al 2020. Dal 2008 al 2021 il tasso medio di crescita è stato pari al 7,5%. E Fanuc è stata decisamente protagonista di questa evoluzione. Ha chiuso l’anno (fiscale) con un fatturato di 173 milioni di euro, in crescita del 30% sul 2020 e del 28% sul 2019. Gli ordini (oltre 6.500 unità) crescono ancora di più: +82% rispetto al 2020, +91% sul 2019.
Le prospettive sono buone anche per il futuro (Fanuc stima una crescita del 10% nel 2022). Non solo perché l’automazione industriale è favorita dalle politiche di investimento del Governo ma anche perché tutto il settore sta continuando ad evolvere verso scenari a sempre maggiore intensità tecnologica. Per Fanuc la prossima transizione, già in atto, è quella che porta al modello Industry 5.0. “Industry 4.0 – spiega Delaini – è stata l’insieme di digitalizzazione e automazione, ora però si stanno affermando concetti diversi, che si possono applicare tanto alle grandi imprese quanto alle PMI”.
Per Fanuc i nuovi concetti chiave sono tre: resilienza, importanza dell’elemento umano, sostenibilità. La resilienza è forse quello di comprensione più immediata: gli anni della pandemia hanno mostrato come sia necessario, per qualsiasi impresa, saper reagire ad eventi imprevisti. Anche la parte produttiva deve saperlo fare, ciò sarà possibile portando alla robotica ed all’automazione nuove tecnologie (AI in primissimo piano), aumentando il grado di digitalizzazione dei processi, sviluppando prodotti e soluzioni che possano adattarsi facilmente a nuove condizioni o esigenze di produzione e di operatività.
L’importanza dell’elemento umano è collegata al ruolo sempre più importante che stanno assumendo i robot collaborativi, o cobot. In futuro vedremo sempre più applicazioni in cui persone e robot operano insieme in uno spazio comune, tanto che le previsioni della International Federation of Robotics dipingono uno scenario a dieci anni in cui la metà delle soluzioni di robotica saranno collaborative. Il che, lato produttori come Fanuc, richiede lo sviluppo di prodotti e tecnologie di nuova generazione.
“Man mano – racconta Delaini – i cobot sostituiranno molti dei tradizionali robot ‘segregati’, che operano in spazi dedicati e confinati in cui l’uomo non può entrare. Ad esempio, affiancheranno il personale nelle operazioni di controllo che l’uomo deve comunque eseguire e che è più opportuno svolgere a fine linea, fuori dall’impianto produttivo in sé. Sostituiranno poi strumenti che oggi vengono usati tutti i giorni ma che non sono percepiti come ‘robotici’, quali ad esempio i sollevatori. E non dimentichiamo gli ambiti della robotica non industriale ma cosiddetta ‘di servizio’, che oggi fa numeri bassi ma che sta crescendo velocemente”.
Infine, la sostenibilità: un elemento cruciale in tutti i settori ma che assume una particolare importanza in un mondo – come quello industriale – percepito sin troppo spesso come poco attento alle questioni ambientali. Per Fanuc il concetto di robotica sostenibile assume in particolare due valenze legate alla ideazione e alla progettazione delle soluzioni. “In prima battuta sostenibilità significa – spiega Delaini – creare robot che consumano meno energia. Possono farlo ad esempio perché sono più leggeri o perché sanno recuperare energia inerziale quando rallentano e si fermano. Ma significa anche eliminare l’utilizzo di oli nei robot, oppure impiegare oli vegetali invece che di sintesi”.
Il secondo aspetto chiave riguarda il ciclo di vita dei robot, la cui impronta ambientale diventa proporzionalmente minore più si allunga il periodo in cui possono essere utilizzati. Qui l’obiettivo di Fanuc è ambizioso: “Potenzialmente un nostro prodotto non dovrebbe diventare mai obsoleto”, spiega Delaini. Ciò significa garantire a chi lo usa che le componenti principali di un robot saranno sempre (ragionevolmente) riparabili e rigenerabili. E anche, quando possibile, sostituibili con componenti compatibili e di nuova generazione.