Tra NetCo e ServiceCo, TIM cerca una struttura "dis-integrata" in grado di aumentare i margini e darle un nuovo volto, orientato tutto ai servizi
Si aspettavano le decisioni del Consiglio di Amministrazione di TIM per capire qualche dettaglio in più sul piano di "spacchettamento" (o meglio, delayering) delle attività aziendali, in vista della parziale fusione con Open Fiber. E qualche indicazione c'è stata sui prossimi passi che aspettano l’Amministratore Delegato, Pietro Labriola. Ma non sono trapelate notizia poi molto diverse da quanto già si sapeva e si immaginava.
Le ragioni della trasformazione di TIM? La società non ne fa mistero: migliorare le performance finanziarie non è possibile andando avanti come è accaduto finora. Anche e soprattutto perché, sottolinea la stessa TIM, la società "opera in un mercato caratterizzato da una forte competizione e da un quadro di vincoli regolatori tra i più stringenti in Europa". Le dinamiche normali del mercato odierno delle telecomunicazioni non riescono quindi a dare abbastanza benzina al Gruppo. Come non riesce a farlo più il modello della "integrazione verticale" che TIM aveva messo in atto.
Il nuovo piano industriale di TIM prevede la possibilità di separare gli asset infrastrutturali di rete fissa perché vadano a costituire la cosiddetta NetCo. Mentre la componente servizi è il cuore della cosiddetta ServiceCo, fatta essenzialmente da TIM Consumer, TIM Enterprise e TIM Brasil. Nella presentazione del piano industriale TIM ha associato una coppia di messaggi chiave a ciascuna delle quattro nuove componenti del Gruppo, messaggi che in sostanza spiegano la loro strategia a medio termine.
Per ovvie ragioni, gli occhi sono puntati soprattutto sulla futura NetCo, per la quale il piano industriale parla di "una storia di valore a lungo termine". Già, perché la NetCo - costituita essenzialmente da FiberCop e Sparkle - comprende la rete fissa e le attività wholesale domestiche e internazionali. Attività che insieme per TIM portano al "primo caso in Europa di realizzazione di un polo di infrastrutture e tecnologie di rete in fibra" a disposizione di tutto il mercato e "con una presenza capillare su tutto il territorio nazionale".
Ma l'obiettivo della NetCo è un non troppo esaltante "defend and execute". Mantenere le posizioni, cioè, e migliorare l'operatività per aumentare i margini. È vero che TIM ha fatto man bassa dei vari lotti assegnati per le coperture a banda larga, di backhauling, per le scuole e per la PA. Ma in tutto questo TIM vede un fatturato sostanzialmente stabile per la NetCo: 5,3 miliardi di euro nel 2021, poi 5,2 nel 2025 e un po' meglio (5,4) nel 2030. Previsioni che poi andranno riviste perché il futuro della NetCo è in OpenFiber, a creare l'atteso megaoperatore wholesale controllato da CDPE e partecipato da Macquarie e KKR.
Di fatto, la nuova TIM sarà quella che adesso viene definita ServiceCo e che parte dal nocciolo duro di TIM Enterprise. Andando per slogan, questa componente enterprise ha "davanti una forte crescita" e il suo piano è "attack". L'idea è che diventi una "tech company" che fa leva su competenze, capacità professionali e infrastruttura. Il cuore della parte enterprise è costituito da Olivetti, Telsy e soprattutto Noovle. Il che significa un parco clienti stimato in 10 mila grandi aziende e 25 mila PA, con risorse che vanno da 16 data center di proprietà a un backbone di rete fissa e una rete mobile virtuale.
TIM Enterprise "punta a conquistare quote in un mercato in crescita grazie alla spinta verso i servizi digitali", si spiega. Aumentando drasticamente il giro d'affari: dai tre miliardi di euro del 2021 a cinque nel 2030. TIM Enterprise vuole anche rafforzare la marginalità, un passo chiave per aumentare gli utili. Con probabilmente qualche dolore di crescita, se nel piano industriale sono già marcati trenta milioni l'anno per costi di ristrutturazione. Una ristrutturazione che dovrebbe tra l'altro portare un "refresh del mix di competenze".
E TIM Consumer? Come nel caso della NetCo, anche qui gli slogan dicono molto. La componente consumer "lotta" in mercati "affollati" e deve puntare a un "turnaround". Una inversione a U di tendenza che - diciamo noi, non TIM - la deve portare fuori dalle secche di un mercato a margini molto bassi e che sta ancora aspettando una vera spinta dal 5G. Il nuovo piano industriale sembra delineare una TIM Consumer piuttosto "pro", che si lascia indietro le fasce di utenza meno pregiate e punta su quelle premium e sulle PMI, da conquistare a suon di servizi di alto livello.
Il nodo di questa strategia sta in due scommesse. Una, non troppo rischiosa, è che il 5G porti finalmente una crescita delle domanda di banda e servizi e aumenti la spesa dei singoli utenti (il mitico ARPU). L'altra è che TIM Consumer migliori nettamente la sua capacità di execution e di stare sul mercato. Con previsioni di fatturato al massimo stabile e più probabilmente in calo, è solo aumentare la marginalità che porta denaro in cassa.
Sullo sfondo delle evoluzioni TIM resta, come da diversi anni, TIM Brasil. Un solido operatore che ha conquistato un posto chiave nel mercato sudamericano delle comunicazioni e che ha un solo compito: continuare a crescere sfruttando le opportunità che ha. Anche procedendo per acquisizioni, come è accaduto nel caso delle attività mobili del Gruppo Oi.