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Smart City: la tecnologia non basta

La Smart City come città a sviluppo "tecnologico" non è sufficiente, serve un modello diverso e con nuovo contributo urbanistico

Tecnologie

Le Smart City agli italiani indubbiamente piacciono. Ma è vero anche che in Italia non sono molte le città "intelligenti" a tutto tondo. Perlopiù la "smartness" dei centri urbani si è concretizzata in (lodevoli) iniziative mirate e fa fatica a diventare sistemica. Un limite, secondo Deloitte, è che l'idea di Smart City come città in cui la tecnologia è il principale fattore di sviluppo non è facile da concretizzare. Anzi, non è nemmeno l'idea migliore da perseguire.

Deloitte mette in campoo il concetto, e il ruolo, degli Smart Citizen. Cittadini che non siano solo utenti passivi dell'innovazione urbana ma siano anche coinvolti attivamente nello sviluppo di iniziative di miglioramento della città. Un ruolo che i cittadini oggi non sentono di avere (lo afferma il 90% del campione di una indagine Deloitte) ma che invece potrebbe portare benefici tangibili (lo afferma il 70% del campione) alla crescita della città.

"Il futuro delle Smart City non può più basarsi sull’applicazione indiscriminata delle innovazioni", commenta Luigi Onorato, Senior Partner di Monitor Deloitte. Bisogna anche e soprattutto far crescere la "intelligenza" dei centri urbani partendo dai bisogni e dalle sensibilità della comunità. E in questo senso lo Smart Citizen è "pronto a cogliere i benefici della digitalizzazione, attento giudice della qualità dei servizi e pronto a partecipare attivamente allo sviluppo del proprio quartiere e città", prosegue Onorato.

La focalizzazione parallela su quartiere e città è legata a una visione in cui la Smart City non è una megalopoli indefinita ma piuttosto il risultato di una crescita sia generale sia locale. Forse il modello delle "15 minutes city" resta piuttosto teorico, ma certamente le analisi indicano che la grande maggioranza dei cittadini ritiene importante la presenza di servizi di prossimità nella zona in cui risiede.

Questo impone una visione urbanistica diversa rispetto a quella che anni fa andava per la maggiore quando si ipotizzava la crescita delle grandi Smart City. In particolare, spiega Deloitte, gli italiani vogliono avere nel proprio quartiere supermercati e alimentari (richiesti dal 70% degli intervistati), verde pubblico (48%), ospedali e centri medici (47%). Con la digitalizzazione a fare da base per la fruizione in remoto di quei servizi - come la gestione delle pratiche amministrative - che oggi comportano fastidiosi spostamenti.

Questa concezione urbanistica dei quartieri come entità quasi autonome ha uno stretto legame con la mobilità, un altro punto chiave delle Smart City. Secondo le stime di Deloitte, l’83% dei cittadini è favorevole a utilizzare meno l’auto privata. Ma solo se il trasporto pubblico fosse più efficiente, cosa che non accade - secondo i cittadini - quasi mai. E solo il 20% dei cittadini crede che la propria città offra soluzioni alternative adeguate di mobilità.

Sullo sfondo resta poi un problema evidente ma di cui si parla relativamente poco. È vero che in Italia la gran parte degli spostamenti avviene entro il contesto urbano. Ma è vero anche che ben il 77% della popolazione vive in Comuni con meno di 100 mila abitanti. Cosa che rende molte concezioni "da Smart City" della mobilità, tradizionale e alternativa, all'atto pratico inapplicabili o addirittura svantaggiose per la maggioranza della popolazione nazionale.

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