Il mondo dell'as-a-Service sta cambiando il concetto di software vendor: gli hyperscaler forniscono tecnologie abilitanti a nuovi operatori che non vengono dai mercati software tradizionali
Tempo fa andava di moda affermare che ogni azienda sarebbe diventata una software house. Nel senso che la capacità di sviluppare applicazioni si stava "democratizzando" sensibilmente - andava tanto di moda anche parlare di citizen developer, per dire - e che le aziende avrebbero fatto prima, e meglio, a creare in casa le applicazioni e i servizi di cui avevano bisogno. Le software house tradizionali sarebbero state superate, specie le più piccole, e avrebbero dovuto cercare nuovi modelli di business.
È andata così, alla fine? Non proprio. Le aziende più grandi hanno risorse e skill per farsi le proprie soluzioni in casa, il resto delle imprese di solito no e fa molto prima ad attingere a quello che offre il mercato. Preferendo tra l'altro pensare che il core business d'impresa non sia fare software ma appunto fare il proprio business. E c'è una bella differenza.
Il cloud ha giocato un ruolo importante in questa evoluzione - o mancata tale, dipende dai punti di vista - perché ha semplificato l'accesso a determinate applicazioni. Inutile stare a sviluppare qualcosa in casa se lo si può usare facilmente in cloud e a consumo. Magari con qualche limite e qualche funzione desiderata in meno, certo, ma la maggiore comodità del cloud rispetto allo sviluppo in proprio, se non si hanno esigenze davvero specifiche e soprattutto se mancano skill, è evidente.
Oltretutto il cloud, rispetto al modello ipotetico "aziende come software house", appare molto più completo. Chi ha le competenze giuste può scegliere tra una pletora di servizi IaaS e PaaS per costruire servizi applicativi su misura. Chi non le ha può guardare a una offerta SaaS "pacchettizzata" crescente, magari da ottimizzare con l'aiuto di qualche partner tecnologico. Se non addirittura degli stessi hyperscaler e cloud provider, sempre ben disposti a "cloudificare" nuovi utenti.
Attenzione, però. La discussione sulle aziende / software house metteva in evidenza una necessità che non è scomparsa. È solo passata in secondo piano durante la prima "abbuffata" del cloud e che ora sta venendo nuovamente fuori, anche perché in fondo è uno dei fattori di freno per il boom davvero in grande stile del cloud stesso. La questione è: le aziende trovano davvero sul mercato quello di cui hanno bisogno e che - nell'ottica attuale - giustifica un massiccio passaggio al cloud?
La risposta è sempre più spesso "non proprio". Non perché l'offerta cloud non sia ampia - lo è anche troppo, per molte imprese - ma perché impone a molte aziende una opera di integrazione e verticalizzazione che è sempre meno gradita. In una fase del mercato in cui ogni spesa IT deve avere un suo ritorno concreto, anche l'offerta cloud deve essere più convincente e vicina alle esigenze delle aziende utenti.
Il punto critico è: chi avvicina meglio il cloud alle esigenze specifiche dei singoli mercati e utenti? La risposta è meno scontata di quanto possa sembrare, specie se ci astraiamo dal concetto di applicazione - che ci tiene nel recinto del SaaS, in fondo - e lo estendiamo a quello di piattaforma.
Oggi molte imprese vedrebbero giustificato il salto al cloud se questo portasse loro una piattaforma completa per gestire in modo migliore e innovativo i problemi che devono risolvere e i processi che sostengono le loro attività. In questo senso il complesso ampio e articolato di componenti SaaS, IaaS e PaaS offerto dagli hyperscaler e dai cloud delle grandi software house è stato sinora sufficiente. Ma non sembra esserlo in prospettiva, pur restando necessario, per gli utenti più grandi che fanno il mercato.
L'idea che sta prendendo piede è che i "nuovi ISV" dell'era cloud saranno le realtà in grado di assemblare i componenti cloud più indicati di hyperscaler diversi sfruttando le loro specificità, aggiungere a questi componenti un valore derivante da competenze specifiche e verticalizzazioni, erogare il risultato come un servizio a consumo. "Sparso" su più cloud ed implementabile anche on-premise e in scenari di edge computing.
Si possono già fare diversi esempi di nuovi ISV del genere. Molti riguardano il mondo della gestione, dell'analisi e della protezione dei dati. Aziende come Snowflake, Databricks o Veeam offrono piattaforme e servizi che sfruttano in vario modo le componenti cloud degli hyperscaler e sono erogati in diverse versioni as-a-Service.
In prospettiva risulta però più interessante il ruolo che possono rivestire entità del tutto diverse, che non sono collegate di norma alla creazione di piattaforme per altri ma che hanno competenze di settore molto evolute. È il caso delle aziende che AWS già lo scorso Re:Invent aveva portato sul palco: Goldman Sachs per il mercato finanziario, Nasdaq per quello dei capitali, Dish per le Telco del 5G.
In questo senso il cerchio si chiude: è vero che molte aziende utenti diventeranno anche software house. Ma lo faranno in logica cloud, pensando non solo alle proprie necessità ma anche al mercato molto più ampio delle imprese simili a loro, solo spesso più piccole. Realizzando, sulla base dei servizi infrastrutturali degli hyperscaler, quello che da più parti si sta già chiamando supercloud: un multicloud "applicativo" in cui il cloud tradizionale è solo un insieme di piattaforme abilitanti.