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Big Tech e Telco: come sta cambiando lo scenario

L'UE pare voler chiedere un contributo dei colossi tecnologici statunitensi allo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazioni europee: come sta cambiando un rapporto Big Tech / Telco che sembrava ormai consolidato?

L'opinione

Il rapporto tra Telco e Big Tech si è molto evoluto negli anni. Inizialmente gli operatori Telco dominavano il settore ICT, le tecnologie erano poche e raramente disponibili. La concorrenza era abbastanza limitata ed erano comunque pochi i servizi a vero valore aggiunto per le aziende. Gli operatori Telco, in partnership con i più grandi brand su tutti i servizi Telco (centralini PBX, housing in data center e anche rivendita di ERP/CRM on-premise), hanno avuto per anni il monopolio.

Con l’avvento del cloud, delle connessioni sempre più performanti in fibra ottica e dei servizi mobile, questo paradigma è cambiato sostanzialmente e player come Amazon, Google e Microsoft hanno iniziato a sottrarre quote di mercato, fornendo servizi cloud e sfruttando la rete degli operatori Telco come elemento di congiunzione con i propri clienti.

Oggi questo passaggio si sta completando con l’ascesa di servizi di streaming video (Netflix e Amazon Prime, per citarne alcuni) e di Unified Communications, come Microsoft Teams, che stanno diventando di uso comune a livello consumer. E mentre le Big Tech aumentano servizi e ricavi sfruttando le reti delle Telco, queste ultime si contendono un mercato saturo di tecnologie che vive di quote di mercato rosicchiate ai competitor. Uno scenario che promette sanguinosi abbattimenti di prezzi su tecnologie che ad oggi rappresentano una commodity come, ad esempio, l’energia elettrica per le aziende.

In questo contesto, lo storico rapporto simbiotico tra Telco e Big Tech, che ha visto negli anni anche tentativi di partnership (Google con TIM per fare un esempio), sta lentamente diventando conflittuale. Sembra infatti che le Big Tech abusino delle connessioni dati per erogare i propri servizi ai clienti, chiedendo di fatto sempre più risorse alle Telco. Tutto questo in un momento storico in cui le Telco sono costrette a ridurre i propri margini a causa della lotta per le quote di mercato. Le difficoltà delle Telco e la profonda espansione delle Big Tech non potevano che portare alla richiesta delle Telco di valutare il coinvolgimento delle Big Tech negli investimenti nelle reti mondiali.

Dal rapporto pubblicato da Agcom “Piattaforme digitali e telco a confronto – 2012- 2021” lo scenario risulta davvero complicato. Nel 2012, i ricavi delle Telco erano il doppio rispetto a quelli delle piattaforme (circa 800 miliardi di dollari contro 360), nel biennio 2018-2019 le cifre quasi si equivalevano, nel 2021 i ricavi delle piattaforme digitali hanno superato quelli delle Telco (1.450 miliardi di dollari contro 960 circa). Il trend viene confermato anche dall’adozione dei servizi cloud che, tra il 2012 e il 2021, ha visto la crescita media annua (Cagr) delle piattaforme del 16,8% contro un valore nettamente inferiore fatto registrare dalle Telco nel loro complesso (2,1%). Tra le piattaforme, Facebook (ora Meta) ha registrato la dinamica di crescita più intensa (+41,8% in media all’anno).

I grandi produttori di software hanno da sempre sostenuto la causa della net neutrality, uno dei capisaldi dalla nascita di internet. In base a questo principio, ogni contenuto distribuito in rete deve avere le stesse opportunità di arrivare su PC o smartphone di qualsiasi utente. Negli ultimi anni la net neutrality ha impedito agli internet provider di vendere corsie preferenziali sulla banda larga ai grandi produttori di contenuti digitali, come Netflix ad esempio. Al contrario, gli operatori sostengono la competizione sleale da parte dalle Big Tech, che richiedono alla rete sempre più risorse per sostenere la mole di traffico generato dalle loro applicazioni.Luca Coturri

Oggi, all’alba dell’avvento del 5G, con i gravi ritardi sul deploy della rete in vista dei costi spropositati che gli operatori devono sostenere, è in corso una discussione tra la Commissione Europea e gli operatori Telco che spingono perché venga richiesta una quota alle Big Tech di circa 20 miliardi di euro all’anno per il mantenimento delle nuove reti ultrabroadband. La Commissione Europea sta lavorando ad un nuovo pacchetto di norme, il Connectivity Infrastructure Act, da proporre a breve. L’obiettivo è accelerare il rollout del 5G nella Ue e sostenere gli obiettivi di copertura europei, che fissano al 2030 la copertura a un Giga della popolazione.

In uno scenario di condivisione dei costi per 5G e fibra ottica, tutto questo porta diverse possibili conseguenze. Che il futuro tecnologico sia rappresentato da connessioni in fibra ottica e 5G è ormai certo. Il mercato dei servizi invece ha possibili scenari evolutivi e il rapporto tra le parti si sta complicando. La storia delle Big Tech ci insegna che quando un elemento dei servizi offerti diventa troppo costoso, queste optano per l‘internalizzazione delle risorse.

Gli scenari futuri dipenderanno per la maggior parte dalle decisioni che verranno prese dagli organi competenti. Qualora decidessero di appoggiare la richiesta degli operatori sugli investimenti, probabilmente le Big Tech cominceranno a investire direttamente nelle reti, comprandone porzioni e/o acquisendo porzioni di società da operatori Telco per fornire prioritizzazione massima del proprio traffico fornendo un servizio migliore all’utente finale, di fatto andando contro quello che è il principio di net neutrality. Non è da escludere che, al contrario, la situazione resti pressoché invariata ma comunque con un utilizzo sempre maggiore delle tecnologie delle Telco.

Luca Coturri è CEO di HiSolution

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