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Due anni di PNRR, spesi bene

Le esperienze maturate in due anni di azione dei Piani Nazionali dimostrano che l'approccio NextGenerationEU non solo è corretto, spiega la UE, ma innesca anche innovazioni a cascata

Trasformazione Digitale

Sono due anni che le nazioni dell'Unione Europea stanno innovando e trasformandosi grazie ai loro PNRR. O, più tecnicamente, grazie ai fondi messi a disposizione dalla Recovery and Resilience Facility collegata al piano NextGenerationEU. Era facile immaginare che una iniezione di qualcosa come 800 miliardi di euro avrebbe portato le nazioni europee a migliorare il proprio lato digitale. Era meno ovvio, e per questo la Commissione Europea bada ora a sottolinearlo, che le varie nazioni avrebbero concretamente usato i loro Piani Nazionali come stimolo per una innovazione tecnologica e strutturale molto ampia.

Questo aspetto è sempre stato fortemente evidenziato dai sostenitori del PNRR, specie in nazioni digitalmente e strutturalmente "sensibili" come l'Italia. Definire il proprio Piano Nazionale come un complesso di aiuti a pioggia avrebbe portato a poco, la mossa giusta era trasformarlo sin da subito in una vera e propria strategia di trasformazione a medio termine. Così è stato per tutte le nazioni coinvolte, sostiene la UE, e i risultati si vedono. Anche perché con la RRF si è partiti da un principio di flessibilità: le singole nazioni dovevano sentirsi "padrone" del loro Piano Nazionale, adattando i principi generali di NextGenerationEU alle loro condizioni specifiche.

Unire con efficacia il livello strategico comunitario con quello anche tattico locale non era scontato. O perlomeno non lo era se si pensa che la UE è fatta di 27 realtà diverse, a volte apparentemente inconciliabili. Per questo la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato che "NextGenerationEU si è dimostrato uno strumento in grado di dare una risposta ai molteplici e variegati problemi che l'Unione si trova ad affrontare". Le riforme lanciate dai vari PNRR nazionali sono così "fondamentali per modernizzare e rafforzare l'Unione europea".

Altro punto chiave dei PNRR sta nell'idea originaria di combinare gli investimenti con le riforme strutturali, non con miglioramenti d'effetto ma solo puntuali. Non a caso, nel commentare il primo biennio della RRF la Commissione mette in evidenza, come risultati importanti della sua applicazione, trasformazioni che non sono principalmente digitali. Come le riforme dei sistemi di giustizia civile e penale in Italia, le riforme del mercato del lavoro in Spagna, il miglioramento dell'offerta di alloggi a prezzi accessibili in Lettonia.

La Commissione parla di un "circolo virtuoso di cambiamento" innescato dalla RRF. I fondi dei Piani Nazionali servono per un primo livello di trasformazioni che poi richiamano iniziative ulteriori, pubbliche e private, con l'arrivo di altri fondi nazionali, comunitari, del settore privato. In questo senso i PNRR non operano in un mondo chiuso, ma hanno saputo integrarsi di solito bene con altre iniziative. Per questo la UE stima che gli investimenti finanziati da NextGenerationEU potrebbero stimolare il PIL dell'UE di circa l'1,5% nel 2024.

Questa elasticità ha permesso a NextGenerationEU di adattarsi a scenari economici e geopolitici che sono cambiati molto rispetto a quando è stata inizialmente sviluppata l'iniziativa. Ha svolto, spiega la Commissione, un ruolo chiave nel contrastare la recessione economica indotta dalla pandemia. Ha accelerato la transizione verde e digitale. Ha aiutato e sta aiutando ad affrontare le conseguenze del conflitto russo-ucraino. Per questo il RRF continua ad avere un ruolo centrale nel modo in cui le singole nazioni e la UE affrontano questioni come la sicurezza energetica, la competitività industriale, la digitalizzazione.

NextGenerationEU, la RRF e i PNRR sono quindi strumenti "vivi", che si adattano ai cambiamenti e possono mutare per gestire priorità emergenti. Un cambiamento tra l'altro è alle porte, perché in primavera i PNRR dovranno integrare le indicazioni del piano REPowerEU. Adattare quindi vecchi e nuovi fondi (sono in ballo altri 270 miliardi di euro) per, nello specifico, eliminare rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili russi e, più in generale, accelerare la transizione verso l'energia pulita. La crisi energetica ha messo in primissimo piano la transizione verde e i PNRR si devono modificare per accelerare le varie iniziative europee previste in questo campo. Dal Green Deal in poi.

Sinora, insomma, i PNRR hanno aiutato davvero le nazioni europee e la loro scommessa pare vinta. Altre conclusioni si tireranno il prossimo anno, quando la valutazione "a metà strada" della RRF "offrirà una nuova occasione per fare il punto e valutare i progressi compiuti e gli insegnamenti tratti dall'attuazione del dispositivo", spiega la Commissione. Che oggi peraltro non si nasconde dietro a un dito: la situazione mondiale pesa sui Governi europei e "rende talvolta sfidante la realizzazione di Piani Nazionali". Rivederli non è un tabù e anzi la revisione che sarà necessaria per includervi REPowerEU "è una opportunità per tenere conto delle esperienze maturate nei primi anni di implementazione della RRF".

Una apertura, ma non eccessiva. Perché la Commissione sottolinea che le varie nazioni non devono perdere la spinta acquisita con il lancio dei PNRR. Adattarli alle condizioni attuali è giusto, ma non vuol dire fare passi indietro e diventare conservativi, anche se è chiaro che a Bruxelles oggi si preferisce veder stralciare qualche progetto troppo ambiziooso piuttosto che vederlo fallire. Anche perché il meccanismo dei pagamenti subordinati a Milestone e Obiettivi ha funzionato, secondo la UE, quindi resterà il criterio guida anche per i prossimi anni. La Commissione promette maggiore trasparenza sulle sue decisioni e sui parametri che segue, ma la filosofia di fondo non cambia: le promesse dei Piani Nazionali vanno mantenute.

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