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Meta: no alla richiesta di fondi per le reti pubbliche

Secondo Meta i cloud/content provider portano già valore all'economia digitale delle aree in cui operano, sollevando le Telco da alcuni investimenti

Trasformazione Digitale

Nel dibattito scatenato dalla Comissione Europea su se e quanto i grandi cloud provider debbano contribuire a finanziare lo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazioni, Meta/Facebook è entrata decisa: le premesse dell'intera discussione sono sbagliate, afferma l'azienda. A spiegarlo sono Kevin Salvadori e Bruno Cendon Martin, due manager collegati all'area reti di Meta: il primo è Vice President Network, il secondo è Director Head of RL Wireless. Un loro lungo post è appunto intitolato "le proposte su una 'network fee' si basano su una falsa premessa".

Il succo del messaggio di Meta non è nuovo: chiedere soldi ai Content Application Provider - o, se preferite, a quelli che le Telco definiscono operatori OTT, Over The Top - è sbagliato in principio perché non vengono riconosciuti "né il valore che i CAP creano per l'ecosistema digitale, né gli investimenti fatti nella infrastruttura che lo sostiene".

Miliardi di persone vanno online, sostiene Meta, anche grazie agli investimenti che i CAP fanno per far crescere i loro contenuti e i loro servizi. E questi miliardi di persone poi devono pagare alle Telco i servizi Internet che usano. "Il nostro investimento in contenuti - spiega Meta - letteralmente spinge il fatturato e il modello di business degli operatori di telecomunicazioni".

Meta pone l'accento anche sul ruolo dei CAP nello sviluppo delle infrastrutture "complementari" a quelle delle Telco tradizionali, o comunque della maggioranza. I grandi cloud provider investono soprattutto nella posa e nella gestione dei cavi transoceanici e, in misura minore, nella creazione di Content Delivery Network più o meno private che agevolano il traffico dei dati all'interno delle loro infrastrutture.

Questi investimenti permettono alle Telco, secondo Meta, di risparmiare sui loro investimenti per circa 6 miliardi di dollari l'anno. La cifra va presa con le molle, peraltro, perché viene da uno studio commissionato da una associazione - Incompas - che comprende perlopiù Content Application Provider.

Il messaggio di Meta è sostanzialmente questo, a parte una lunga dissertazione sul fatto che il metaverso e la realtà virtuale non aumenteranno in maniera significativa il peso del traffico dati sulle infrastrutture delle Telco. E quindi sono servizi e contenuti che non giustificano la richiesta di contributi economici allo sviluppo delle infrastrutture stesse. Considerato che al momento il metaverso interessa praticamente solo a chi lo propone e che AR e VR sono più o meno nello stesso stato di adozione da anni, probabilmente Meta ha (involontariamente) ragione.

Il dibattito tra Telco e CAP quindi continua, ma più che un dibattito appare piuttosto una contrapposizione di monologhi. Meta e gli altri cloud/content provider portano avanti sempre i soliti due temi: gli investimenti in cavi transoceanici e CDN, il valore portato indirettamente alle economie in cui operano. Le Telco, analogamente, battono da un po' sugli stessi due tasti: i CAP guadagnano grazie alle reti delle Telco, il mercato delle telecomunicazioni è troppo squilibrato a causa delle norme che lo regolano.

Punti di contatto tra le due opposte visioni di fatto non ce ne sono, quindi l'unica azione che potrà sbloccare l'impasse è quella normativa. Che non piacerà a nessuno ed è di difficile applicazione. Ma che in questo e in altri settori dello sviluppo tecnologico sembra l'unica a poter mettere ordine in uno scenario poco fluido.

Fonte immagini: Meta, AnalysysMason.

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