Dopo la grande attenzione alla Smart Health portata dalla pandemia, il mercato della Sanità digitale si è sostanzialmente raffreddato
Crescere, è cresciuto. Ma lo scenario è certamente meno stimolante di quanto si pensava sino a nemmeno tanto tempo fa. Parliamo del comparto della Sanità digitale, che nel 2022 ha mosso qualcosa come 1,8 miliardi di euro, con una crescita del 7% rispetto al 2021. Ma che sembra anche aver perso parte degli stimoli acquisiti durante la pandemia, quando la Smart Health sembrava un futuro prossimo e obbligato.
Invece, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, c'è un generale "raffreddamento" dell'interesse del grande pubblico verso le tematiche più evidenti della Digital Health. Il che non aiuta a favorirne lo sviluppo ulteriore, non da ultimo anche perché la spinta tanto attesa del PNRR non si sta sentendo come dovrebbe.
Primo elemento di attenzione: il Fascicolo Sanitario Elettronico fa fatica ad entrare nella quotidianità degli italiani. Non è un buon segno per quello che dovrebbe essere il "volto" della Sanità digitale nazionale. E che è, dopotutto, una piattaforma che di per sé funziona.
Nel 2023, il 35% dei cittadini ha fatto almeno un accesso al FSE. Una percentuale in linea con quella (33%) rilevata nel 2022. Non bene. Tanto che Paolo Locatelli, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale, sottolinea come "c’è il rischio che questo strumento non guadagni ulteriore popolarità" e che per spingerne l’adozione "sarà necessario rendere maggiormente evidenti ai cittadini i benefici derivanti dal suo utilizzo".
Altrimenti poco potrà fare il tanto atteso Fascicolo Sanitario 2.0, che idealmente sarà più ricco di documenti, dati e servizi. Questa presupposta ricchezza di opzioni va "venduta" agli italiani, che per ora vedono nel FSE essenzialmente il modo per accedere ai referti e alle ricette elettroniche.
Lato strutture sanitarie l'interesse digitale è piuttosto verso la Cartella Clinica Elettronica: il 75% delle strutture la indica come una priorità, il 42% afferma di avere la CCE attiva in tutti i reparti, il 23% solo in alcuni. Di norma, la CCE è usata per anamnesi, inquadramento clinico, gestione delle informazioni di riepilogo sul paziente. Raramente per il supporto decisionale.
Di certo siamo in una fase di profonda transizione per quanto riguarda gli strumenti digitali che possono aiutare i pazienti ad avere un rapporto migliore con la medicina. Come spesso capita, strumenti non proprio ad hoc sono stati adattati allo scopo. Come la messaggistica in stile WhatsApp, che sta facilitando la comunicazione tra professionisti sanitari e pazienti.
Ma ci sono chiari segnali che i professionisti punterebbero più volentieri su app o piattaforme di comunicazione dedicate in modo specifico all’uso sanitario. Lo indica il 33% dei medici specialisti coinvolti dall'Osservatorio, il 38% dei Medici di Medicina Generale e il 40% degli infermieri.
Come spiega Chiara Sgarbossa, Direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale, "la possibilità di gestire su un unico strumento più funzionalità utili per la gestione dei pazienti e nel rispetto della privacy è tra i benefici maggiormente riconosciuti" delle possibili piattaforme specifiche.
Anche i pazienti sono interessati ad app e prodotti sviluppati nativamente per il mondo della Sanità digitale. Le app per la salute sono già utilizzate dal 38% dei pazienti cronici o con problematiche gravi e il 29% dei pazienti in generale guarda con interesse ai dispositivi indossabili per monitorare i parametri clinici. Il 49% si dichiara poi interessato alla realtà virtuale o aumentata, il 47% agli assistenti vocali che forniscono informazioni e supporto.
In questa scia si trovano anche le nuove applicazioni di telemedicina, un ambito che sta vivendo, secondo l'Osservatorio, una nuova ripresa. Il 39% dei medici specialisti e il 41% dei Medici di Medicina Generale afferma di aver utilizzato servizi di Televisita e rispettivamente il 30% e il 39% ha fatto ricorso al Telemonitoraggio.
Bene, ma si potrebbe fare di meglio. "Lo sviluppo di piattaforme di telemedicina a livello regionale e nazionale previsto dal PNRR consentirà, auspicabilmente, di diffondere ulteriormente tali servizi", auspica Cristina Masella, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale. Ricordando però anche che la tecnologia da sola non basta: serve anche una strategia organica che integri la telemedicina nei processi di cura e assistenza.
La citazione del PNRR porta a valutare quali sono stati gli effetti positivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E qui Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale, è chiaro: "Il tanto atteso cambio di passo che la Missione 6 Salute del PNRR avrebbe dovuto imprimere agli investimenti in Sanità digitale non è ancora tangibile".
Il problema secondo gli interessati - ossia i principali decisori delle strutture sanitarie - è duplice. Da un lato è vero che le risorse finanziarie ora ci sono ma è anche vero che potrebbero essere di più, considerato che i fondi a disposizione vanno frammentati in moltissime iniziative.
Inoltre, per le strutture sanitarie è difficile capire come utilizzare in maniera davvero efficace le risorse che possono vedersi assegnate. Serve un supporto strategico, come è stato indicato anche per la digitalizzazione a tappe forzate delle PA locali. PA e Sanità, ancora una volta, vanno a braccetto nella loro evoluzione digitale.