Secondo l'Ambrosetti Innosystem Index 2023, per capacità d’innovazione l'Italia è quartultima tra i 22 Paesi più avanzati
Secondo l’Ambrosetti Innosystem Index 2023, l’Italia resta nelle retrovie dell’innovazione: confrontando le performance dei 22 Paesi più avanzati il Belpaese si colloca infatti quartultima. Ben distante da nazioni con le quali siamo abituati a confrontarci, come Regno Unito, Francia e Germania.
L'AII 2023 è stato "costruito" confrontando 22 Paesi ad alta performance innovativa, prendendo in considerazione i dati degli ultimi tre anni disponibili (2019-2021) mediante l’analisi di 18 indicatori. A guidare la classifica c’è Israele con un punteggio di 6,1 su una scala da 1 a 10, seguito da Stati Uniti (5,8 punti) e Regno Unito (5,7). L’Italia si trova in 19a posizione, con un punteggio di 4 su 10. Qualcosina meglio (+0,07) rispetto al 2018 ma senza variazioni in classifica. Peggio dell’Italia hanno fatto solo Spagna (3,8), Lettonia (3,7) e Grecia (3,5).
Gli investimenti in innovazione sono una delle aree in cui l’Italia è messa peggio: solo 18a per risorse finanziarie a supporto dell’innovazione. Questo per la scarsità di investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo (solo lo 0,9% del PIL), il basso sviluppo del venture capital, i ridotti investimenti diretti del Governo in R&S (appena lo 0,5% del PIL). L'Italia poi non sa sviluppare un ambiente attrattivo per investimenti e nuovi talenti e nemmeno stimolare sinergie collaborative tra università e imprese. Solo il 6% della spesa del sistema universitario italiano è destinata alla ricerca e sviluppo (in Cina ad esempio è il 35%) e solo l’11% di questi investimenti viene finanziata dall’estero.
Altro problema: l’Italia ha un flusso netto negativo di studenti, le risorse umane cioè vanno verso altri Paesi dopo un percorso formativo completato. Questo ha effetti negativi sul capitale umano a disposizione del Paese, ossia la presenza di risorse qualificate per fare ricerca e sviluppo. Ad esempio, solo il 22,7% dei laureati italiani lo sono in materie STEM. In Germania, nazione che guida la relativa classifica, la percentuale è del 36%.
Va meglio quando si analizza l’efficacia dell’ecosistema innovativo: in questo ambito, complessivamente, l'Italia è al 10° posto. In particolare, l’Italia eccelle (4° posto) per l’efficienza e la qualità della ricerca accademica, affermandosi come uno dei poli internazionali per la generazione di nuova conoscenza: più di 20 mila pubblicazioni citabili e oltre 33mila citazioni ogni 1.000 ricercatori.
L’eccellenza scientifica però fa fatica a tradursi in valore economico e industriale. L'Italia ha appena 0,3 domande di brevetto depositate a livello mondiale ogni mille abitanti. E passa dal secondo posto del 2018 al quinto del 2021 con il 65% di brevetti ottenuti in rapporto al numero di domande di brevetto presentate.
Ambrosetti ha realizzato quest'anno anche il Regional Innosystem Index, che ha valutato le performance dell’innovazione di 242 regioni europee. La regione della capitale danese Copenhagen conquista il primo posto (con un punteggio di 6,8 su 10), al secondo la regione dell’Île de France intorno a Parigi (6,7), al terzo la regione di Stoccolma (6,6).
L’Italia posiziona in classifica, in una ipotetica Top 100, cinque Regioni: Lombardia (31° posto), Emilia-Romagna (52°), Provincia Autonoma di Trento (63°), Piemonte (92°), Lazio (98°). Più indietro troviamo Veneto (101°), Toscana (105°), Friuli-Venezia Giulia (110°) Provincia autonoma di Bolzano (117°), Liguria (120°), Umbria (138°), Marche (141°), Abruzzo (145°), Campania (156°), Puglia (180°), Sicilia (181°), Calabria (186°).
Ogni regione ha i suoi punti di forza. La Lombardia ad esempio spicca per numero di brevetti depositati allo European Patent Office (1.547), il Piemonte per quanto investe in Ricerca e Sviluppo (il 2,34% del PIL regionale), il Lazio per la quota di popolazione con formazione terziaria (26%), la Provincia Autonoma di Trento per la forza lavoro impegnata nelle attività di Ricerca e Sviluppo (1,07%).
Nella sua analisi, la Community Innotech identifica quattro proposte per sostenere l’ecosistema italiano dell’innovazione. In primo luogo, massimizzare il potenziale di innovazione. Per questo serve aumentare le risorse per la ricerca (idealmente, secondo la Commissione Europea, il 3% del PIL), rafforzare le strutture di ricerca per creare “campioni nazionali” su alcune tecnologie chiave (come previsto dal PNRR, peraltro), creare programmi di ricerca di lungo periodo, definire una governance unitaria della ricerca.
Seconda proposta: tradurre la ricerca in innovazione, facilitando i processi di trasferimento della conoscenza dalla ricerca alle imprese. Per questo bisogna rafforzare gli Uffici di Trasferimento Tecnologico e completare la realizzazione degli Ecosistemi dell’Innovazione territoriali previsti dal MIUR.
Le altre due proposte di Ambrosetti sono più ambiziose e meno definite. La prima è trasformare l’Italia in un "Paese per unicorni”, cioè capace di favorire la crescita di realtà imprenditoriali innovative e di successo. Qui bisogna semplificare la burocrazia, dando agli investitori un quadro economico-giuridico chiaro, e incentivare lo sviluppo del venture capital.
Un po' vaga anche l'idea di lanciare un New Deal delle competenze. Ossia definire programmi e iniziative per la formazione sostanzialmente continua sul digitale. Si parte con l’insegnamento degli skill digitali già nei primi anni di scuola, si passa alle Università con il potenziamento delle lauree professionalizzanti, si arriva nel mondo del lavoro con l'aggiornamento continuo delle competenze dei lavoratori.