Una riflessione di Thoughtworks Italia su strategie, sfide ed approcci per una customer experience ottimale
Lo spunto per questa riflessione è nato da uno studio, sponsorizzato da Thoughtworks, di Harvard Business Review, “Transforming customer experience inside and out”, che, coinvolgendo 465 business leader, esamina il divario tra la rilevanza strategica della customer experience e la sua efficacia nel portare risultati di business, ponendo un focus sulle barriere interne che impediscono la creazione di una customer experience ottimale. Abbiamo analizzato la realtà italiana coinvolgendo, in un panel di discussione tenuto di recente, tre aziende che lavorano quotidianamente nella Customer Experience: Casavo, Hype e Subito.
Quando si parla di mettere il cliente al centro della strategia aziendale, è cruciale iniziare proprio dal conoscerlo. Per questo è fondamentale avere in azienda ruoli specifici e unità di ricerca sulle persone che non si limitino solo alla user research ma abbraccino diversi tipi di ricerca, così come è strategico coinvolgere costantemente tutti i ruoli dei team. Analogamente, bisogna utilizzare tutti i canali disponibili per l’ascolto, partendo dal supporto clienti e i feedback, passando poi alle interviste o altri strumenti di indagine.
Sebbene esistano ormai molti strumenti che automatizzano e velocizzano l’analisi dei dati, anche qualitativi, si sottolinea la necessità che i team di prodotto si immergano personalmente nell’analisi, “mettendoci la testa, per capire davvero cosa vogliono dire i clienti”, spiega Marco Gentile di Hype. L’opinione comune è che la digestione lenta e profonda derivante dall’analisi dei verbatim raccolti dalle tante fonti di contatto con i clienti, sia una parte integrante del processo di comprensione delle persone, che non va sottovalutata. Su questo tema emerge in modo ricorrente l’importanza di raccogliere sempre anche il dato qualitativo, soprattutto per la capacità intrinseca di generare insight a partire dai dati, che facciano scaturire delle vere opportunità di crescita del business a partire dal miglioramento della Customer Experience.
“Troppo spesso ci si dimentica del valore del dato qualitativo nella customer research”, afferma Raffaella Roviglioni, Customer Experience Lead di Thoughtworks Italia, “mentre bisognerebbe pensare a una strategia di raccolta dei dati che sia variegata e continua, che riesca a rispondere alle domande fondamentali che l’azienda deve porsi, utilizzando fonti diverse. Cruciale, di conseguenza, dedicare un repository di ricerca che dovrebbe diventare il fulcro della conoscenza aziendale sui propri clienti e sui prospect, a cui attingere quando ci si interroga su quali priorità dare allo sviluppo prodotto, o ancora meglio, per stimolare la creazione di opportunità di business ulteriori”.
Per questo, occorre non fermarsi agli insight: “Il problema non è l’ascolto, è l’azione”, racconta Massimiliano Dotti di Subito. Le aziende ormai hanno adottato vari sistemi di raccolta di dati sui clienti, ma poi faticano a trasformare quegli insight in azioni concrete di miglioramento che vadano ad avere un impatto sia sulla customer experience complessiva sia sulla performance aziendale.
Per alcune aziende rappresenta una sfida riuscire a bilanciare gli obiettivi di business (che richiedono maggiore efficienza nei processi e servizi, tipicamente appannaggio dei ruoli di operation aziendali) con i bisogni degli utenti, difesi tradizionalmente dalle figure di design. In Casavo è stato importante “fare empowerment della funzione di design all’interno dell’azienda, farla partecipare a momenti di discussione strategica e di definizione di obiettivi”, commenta Fausto Maglia di Casavo. Questo ha permesso di abilitare un lavoro di redesign dei processi per renderli tanto efficienti per l’azienda quanto rispondenti ai bisogni degli utenti.
Un approccio molto promettente in termini di allineamento sugli obiettivi riguarda il lavoro di messa a punto di indicatori e metriche di successo: si va dai framework quali gli OKRs agli esempi virtuosi in cui “le metriche di CX sono parte integrante dei KPI di sviluppo del prodotto”, come sostiene Massimiliano Dotti di Subito, e sono in qualche misura correlati agli indicatori di successo aziendali, a livello più alto.
“A prescindere dal framework, non è immediato arrivare a individuare le migliori metriche e formulare correttamente gli obiettivi, perché questo è un processo di apprendimento e miglioramento continuo che richiede tempo e riflessioni collettive, per arrivare a mettere a punto degli strumenti efficaci per l’intera azienda", continua Raffaella Roviglioni di Thoughtworks.
Gli indicatori hanno il vantaggio di poter diventare una leva potente per abbattere i cosiddetti silos organizzativi se, nella loro formulazione, considerano correttamente le modifiche di comportamento degli utenti, evitando che ogni team lavori solamente sul proprio ambito specifico e facilitando il dialogo e il lavoro concertato tra team e i diversi domini di competenza. Un approccio per ottenere questo effetto sull’organizzazione è quello di creare della cross-pollinazione, ovvero qualcuno che sia responsabile di un indicatore che riguardi un ambito diverso da quello della sua divisione, proprio per abilitare naturalmente la collaborazione incrociata fra i team aziendali.
Un’altra sfida strategica da considerare nella costruzione di una customer experience ottimale è l’allineamento con la direzione aziendale. “Il management è il miglior componente sabbioso all'interno degli ingranaggi della customer experience”, dichiara Massimiliano Dotti. Se il management non è parte attiva nella visione della CX in cui il cliente è al centro delle decisioni strategiche e non è disponibile a delegare ai team di prodotto l’operatività sugli obiettivi condivisi, diventa arduo realizzare nel concreto quella visione aziendale.
Considerando la complessità e la specificità di ciascuna realtà aziendale, dal dominio di competenza fino alla particolare offerta sul mercato, non esistono delle best practice di riferimento che sia possibile applicare sempre, in tutti i contesti. Anche gli strumenti o i framework citati vanno valutati e poi calati nel lavoro quotidiano dei team di customer experience, sperimentando diverse modalità e adattandole volta per volta.
“Costruire un'organizzazione allineata agli obiettivi aziendali richiede un processo continuativo di riflessione critica, apprendimento e adattamento. Per questo noi lavoriamo a stretto contatto con la leadership delle aziende nel processo di trasformazione: per riuscire ad individuare ciò che è efficace nel contesto di ciascun cliente”, spiega Andrea Bandera di Thoughtworks.
“Più che adottare quindi strumenti o metodi specifici occorre abbracciare una mentalità vocata alla sperimentazione e all’apprendimento continuo”, continua Marco Gentile, riferendosi a questa come mindset agile (mutuando dall'approccio di sviluppo software), che per lui significa “mettere la persona al centro e fallimenti rapidi. Fare delle ipotesi, andare sul mercato e rapidamente imparare, e grazie a questo continuo learning, andare avanti poi a sviluppare il prodotto".
“Thoughtworks, che è tra i firmatari del manifesto Agile con Martin Fowler e Jim Highsmith, da sempre parla di ‘early feedback’, ovvero la bontà delle idee e delle iniziative emerge solo con il contatto con la realtà”, sostiene Andrea Bandera. “Il feedback che otteniamo dalle interviste con gli utenti, i test sui prototipi, i cambi di comportamento dei clienti che usano i nostri prodotti, sono gli indizi per capire se siamo sulla buona strada. Più ne raccogliamo e prima ne raccogliamo, meglio è.”
Per lavorare in questa modalità, diversi assetti organizzativi sono possibili. Per esempio, dando importanza alla creazione di team realmente cross-funzionali, ovvero che includano non solo le classiche figure tecniche di prodotto e sviluppo ma anche design, marketing, dati, customer service e altri ruoli, meglio ancora se modellati come team flessibili, in cui figure specifiche entrino ed escano quando occorre. In termini di competenze individuali, poi, servono persone cross-funzionali, ovvero ibride, con competenze miste tra prodotto, sviluppo e business, affinché lavorare insieme ad altri ruoli sia fruttuoso.
“Perché i team possano davvero trovare soluzioni efficaci a problemi complessi devono avere tutte le competenze necessarie al loro interno. Questo significa che anche i dipartimenti aziendali storicamente chiamati unicamente ad approvare le proposte, devono essere coinvolti sin dall’inizio della definizione della soluzione in modo da avere il pieno contesto e contribuire attivamente a trovare la strada migliore. Includere tutte le competenze necessarie, per il tempo necessario, nei team, accelera anche drasticamente i tempi di realizzazione delle soluzioni stesse e quindi il primo feedback dalla realtà” conclude Andrea Bandera.