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Che sta succedendo nel mondo RHEL?

I puristi del FOSS accusano Red Hat di aver tradito i principi dell'open source, Oracle e SUSE sembrano volerne approfittare. Ma che c'è di concreto?

L'opinione

C'è maretta nel mondo open source che in qualche modo orbita intorno a RHEL, la distribuzione Linux di fatto più apprezzata dal mondo enterprise. Red Hat ha reso più stringenti i requisiti per ottenere il codice sorgente della distribuzione e quelli legati a cosa si può farne una volta ottenuti. E per questo è stata attaccata da una parte della community open source.

Potrebbe essere uno dei tanti confronti anche accesi del mondo open source, che poi però hanno poche conseguenze per gli utenti. Se non fosse che Oracle e SUSE hanno colto l'occasione per cercare, indirettamente ma in maniera evidente, di posizionarsi come più "open" di Red Hat, con l'obiettivo di occupare almeno una fetta del suo mercato. È davvero possibile? Molto più no che sì, ma per capire bene cosa sta succedendo è meglio fare qualche passo indietro.

RHEL e i suoi fratelli

Quando si parla di open source, spesso si cita Red Hat come unico esempio concreto di grande software house che sia riuscita a costruire un modello di business remunerativo intorno appunto all'open source. Ci sono altre aziende che hanno provato a farlo senza riuscirci, altre che ci sono riuscite ma non allo stesso livello di fatturato.

RHEL, o per esteso Red Hat Enterprise Linux, è un tassello chiave di questo successo. Alle grandi imprese utenti interessano poco o nulla i principi dell'open source, semmai per loro è importante avere una piattaforma affidabile, abbastanza solida da appoggiarci le proprie attività di sviluppo, supportata come un'enterprise si aspetta. RHEL ha queste caratteristiche e fa contenti tutti: le imprese che lo usano, Red Hat che vende i servizi collegati, gli sviluppatori che vi vedono un mercato remunerativo.

RHEL però non è un sistema operativo commerciale. È una distribuzione Linux e come tale deve rispettare la licenza GPL. Il codice di RHEL deve quindi essere disponibile (almeno in parte) e Red Hat può considerare come "sue" solo le componenti che sviluppa e aggiunge al nucleo di RHEL. Che poi, peraltro, non vive da solo ma ha sempre avuto diversi fratelli e fratellastri con cui battagliare.

Il fatto che il codice sorgente di RHEL fosse liberamente, o quasi, disponibile in osservanza della licenza GPL ha infatti permesso la nascita di molti "derivati" di RHEL stesso, sviluppati a valle - in gergo, downstream - del lavoro di Red Hat. Per quello che interessa noi ora, due sono rilevanti: CentOS e Oracle Linux.

Oracle Linux è il "Linux di Oracle", ovviamente, ed è alla base di molti prodotti e servizi di Oracle stessa. Come sistema operativo in sé è compatibile con RHEL - perché ne deriva - ed è quindi una alternativa ad esso, ma non ha una base utenti amplissima perché Oracle non l'ha mai spinto decisamente e poi... tanto c'è già RHEL.

CentOS era tecnicamente un "rebuilding" di RHEL a partire dal suo codice, sostanzialmente un quasi-RHEL senza il bollino Red Hat. CentOS era un lavoro di community e non commerciale (CentOS stava per Community Enterprise Operating System). Ma era usato da migliaia di aziende e organizzazioni che volevano la stabilità di RHEL ma non volevano - o potevano - pagare le licenze e il supporto di Red Hat.

Red Hat lo sapeva benissimo, ma sapeva anche che molti di questi utenti non li avrebbe mai acquisiti in ogni caso. Pensiamo alle organizzazioni no-profit, agli istituti di ricerca, al mondo della scuola, alle medie imprese. Va però onestamente detto che tra gli utenti di CentOS c'erano anche molte aziende di classe enterprise che puntavano, semplicemente, a spendere meno.

Red Hat tira le fila

Nel 2014 Red Hat ha affrontato la questione "assorbendo" CentOS, pur lasciandolo indipendente. Nel 2020 l'indipendenza è finita e CentOS è diventato CentOS Stream, una cosa diversa e un nuovo oggetto nell'ambito dei tre Linux che fanno capo a Red Hat. Oggi Fedora è la distribuzione cosiddetta upstream, in cui vengono inserite novità il prima possibile e che quindi è meno stabile, potenzialmente, di RHEL. CentOS Stream è una versione "midstream", più stabile di Fedora ma non ancora da enterprise. RHEL è... RHEL.

Non venendo "dopo" RHEL, per le imprese CentOS Stream è molto meno appetibile di CentOS, perché la sua compatibilità con RHEL è meno garantita. Così dalle ceneri di CentOS sono nati due altri rebuilding di riferimento: Rocky Linux e AlmaLinux. Entrambi prendevano il codice sorgente di RHEL e arrivavano sul mercato come alternative su cui costruire prodotti e servizi.

Lo scorso 21 giugno Red Hat ha di nuovo cambiato gli equilibri, limitando molto la disponibilità del codice sorgente di RHEL. Questo oggi è disponibile integralmente, in estrema sintesi e semplificando, solo per gli utenti Red Hat. Che da parte loro non possono ridistribuirlo per creare nuovi rebuilding. È una scelta compatibile con la licenza GPL di Linux? Sì, lo è. È sulla compatibilità con lo spirito open della licenza che si è aperto il dibattito.

Questo dibattito sarà lungo e poco produttivo. Per molti motivi: la licenza GPL andrebbe rivista perché l'IT odierna è completamente diversa da quella in cui la licenza è nata, ciascuna delle parti scese in campo sottolinea quello che le interessa e lascia perdere il resto, Red Hat poteva spiegare le novità meglio e il tentativo di metterci una pezza ha probabilmente fatto peggio. Ma rispetto al dibattito, ora è più interessante notare le reazione di Oracle e SUSE.

Oracle e SUSE ci provano

Oracle ha garantito la compatibilità di Oracle Linux con RHEL ma solo per ora, lasciando vagamente intendere che le cose potrebbero cambiare in futuro. E sostenendo che la decisione di Red Hat non fa bene alla comunità di sviluppatori e terze parti che ha orbitato e orbita intorno a RHEL: se IBM ora vuole andare a prendersi il business lasciato a lungo sul tavolo ignorando i quasi-RHEL, sostiene di fatto Oracle, non è più un partner affidabile.

"IBM sta eliminando uno dei modi in cui i vostri clienti possono risparmiare e rendere disponibile per voi una quota maggiore del loro portafoglio", spiegano Edward Screven, Chief Corporate Architect, e Wim Coekaerts, Head of Oracle Linux Development. Meglio fare il salto a Oracle Linux, che non ha niente contro le sue varianti downstream. Anche se, sostengono molte voci del mondo open source, non è proprio Oracle un esempio impeccabile di "openness" a prova di bomba.

SUSE fa più notizia: ha colto la palla al balzo per annunciare il nuovo sviluppo di un vero e proprio "fork" di RHEL con esso ovviamente compatibile. È un progetto da dieci milioni di dollari investiti nei prossimi anni, con l'obiettivo di andare a conquistare nuovi utenti. La carta che gioca SUSE è il timore del lock-in: le politiche di Red Hat a lungo andare potrebbero "bloccare" gli utenti nel suo ecosistema? Pure ipotesi, nel frattempo SUSE comunque si pone come un'alternativa da valutare, spiega il CEO Dirk-Peter van Leeuwen.

Avranno successo le iniziative di Oracle e SUSE? Se per successo intendiamo togliere a Red Hat i clienti enterprise che già ha, o genericamente ridurre il suo appeal verso questa categoria di utenti, sembra assai poco probabile. Le grandi aziende utenti fanno scelte che sono basate su parametri diversi dalla fedeltà ai principi dell'open source, se questi non hanno conseguenze pratiche su cosa possono fare e come.

Diverso è il caso delle software house, dei singoli sviluppatori e di chi fornisce servizi collegati a RHEL. Qui un po' la forma conta e Red Hat a questo giro ha urtato la sensibilità di molti. Mettere fuori gioco i rebuilder può avere senso commercialmente, ammette il grande pubblico FOSS, ma c'è chi si chiede se le logiche di business non si allargheranno man mano a comprendere altre categorie di entità che aggiungono valore - o ritengono di farlo - a RHEL.

Ancora, sono pure ipotesi di un mondo che in questo frangente - ed è qui un elemento positivo in generale - fa ancora una volta i conti con la sostenibilità dei progetti e delle aziende open source. L'open source è il motore dell'innovazione moderna dell'IT e del business che ne viene generato. Ma come questo business possa ritornare positivamente indietro resta sempre una questione dibattuta.

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