Una riflessione di Sarwar Raza di Red Hat sul perché sarebbe opportuno non puntare suun singolo provider nella migrazione delle infrastrutture verso un modello ‘service based’
L’adozione dei cloud services continua a registrare una crescita incessante in ogni settore e area geografica. Il mercato globale del cloud computing è sempre più vasto e, secondo Gartner, crescerà fino a 917 miliardi di dollari entro il 2025, superando la spesa IT tradizionale.
I servizi cloud offrono maggiore agilità ed efficienza in quanto, migrando l’infrastruttura su un modello “service-based”, questi ultimi non devono più occuparsi di compiti dal contenuto strategico limitato come la creazione e gestione di infrastruttura IT e piattaforme software, potendo concentrarsi sulle proprie competenze principali.
Non sorprende quindi che i cloud provider preferiscano che i clienti scelgano e rimangano all’interno del recinto dei loro servizi nativi e del loro ecosistema di partner. Di solito, la scelta iniziale di un particolare cloud provider avviene perché una linea di business o uno sviluppatore lo individua per creare un’applicazione al di fuori della normale sfera di competenza dell'IT/CIO. Tuttavia, nel momento in cui un’organizzazione definisce una strategia ad ampio respiro, dovrebbe allargare lo sguardo e avere una visione a lungo termine dei propri requisiti a livello aziendale.
Oltre 15 anni di esperienza nel cloud pubblico ci hanno insegnato che i cloud non sono tutti uguali. Ogni fornitore ha fattori di differenziazione chiave o aree in cui è specializzato, mentre disponibilità, concorrenza e costo restano sempre considerazioni di fondo che gli utenti devono man mano valutare. La realtà è che puntare su un singolo cloud provider non rappresenta sempre la strategia migliore.
Nella sostanza, il cloud ibrido continua a essere la strategia principale per molte aziende. Chi pensa a un approccio del genere o multi-cloud, dovrebbe prendere in considerazione innanzitutto il bilanciamento tra sicurezza e innovazione: le organizzazioni dispongono di più piattaforme, alcune delle quali obsolete e non supportate, su cui devono eseguire i carichi di lavoro. Da questo hanno origine complessità di gestione, rischi per la sicurezza e inefficienze. Una soluzione ibrida o multi-cloud aperta consente di distribuire e gestire i carichi di lavoro in modo coerente in qualsiasi ambiente.
Ma serve anche guardare al set di competenze del proprio team IT: la tecnologia è un settore in rapida evoluzione e spesso le aziende non hanno risorse sufficienti da dedicare alla creazione di applicazioni e alla gestione dell’infrastruttura in questo panorama ibrido. Un approccio multi o open hybrid cloud consente ai team di sfruttare le risorse esistenti semplificando e automatizzando i processi.
Infine, è opportuno prendere in considerazione la portabilità dell’infrastruttura attuale: le organizzazioni dispongono tipicamente di un mix di applicazioni. Necessitano di una piattaforma e di strumenti coerenti per creare ed eseguire sia quelle legacy sia le moderne cloud-native, per controllare i costi e migrare i carichi di lavoro in base alle esigenze aziendali. Un approccio multi-cloud consente di modernizzare le applicazioni fondamentali per l’azienda, fornendone al contempo di nuove e innovative più rapidamente.
Sono numerose le soluzioni valide per le organizzazioni che desiderano aggiornare la propria infrastruttura e passare al cloud. La chiave per un ambiente di successo non è concentrarsi su una singola di esse o su quella con l’implementazione più rapida, bensì affrontare la situazione adottando una visione olistica. Focalizzandosi sui risultati che l’azienda desidera ottenere e tenendo conto delle considerazioni di cui sopra, i responsabili IT possono guardare con fiducia alla loro decisione di passare a un’architettura cloud ibrida.
Sarwar Raza è Vice President and General Manager of Cloud Services di Red Hat