La difficoltà di reperimento è particolarmente alta per quanto riguarda informatici, operai specializzati, chimici, ingegneri, responsabili delle vendite e professionisti sanitari.
L’hanno definito come un momento “magico” del mercato del lavoro. L’ultimo aggiornamento Istat ci dice infatti che il tasso di occupazione è salito al 61,9%, e che si è ridotto il numero di persone in cerca di lavoro. Confrontando dicembre 2023 con dicembre 2022, per dire, il numero di persone in cerca di lavoro si è ridotto dell’8,5%. È però ancora valido il ritornello degli ultimi mesi: le aziende assumono, a mancare sono piuttosto i lavoratori.
Stando all’ultimo Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, per il periodo gennaio – marzo sono previste 1.376.120 entrate, in un mercato del lavoro che vede però una difficoltà di reperimento media pari al 49%.
In questo contesto, come possono le aziende avere la certezza di riuscire a inserire i necessari talenti per garantire la stabilità e lo sviluppo del business?
La difficoltà di reperimento è particolarmente alta per quanto riguarda informatici, operai specializzati, chimici, ingegneri, responsabili delle vendite e professionisti sanitari.
«Il primo passaggio fondamentale per ridurre la difficoltà di reclutamento è lavorare regolarmente al proprio employer branding» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting.
«Un’azienda che è vista come un ottimo luogo in cui lavorare avrà molte meno difficoltà nell’attirare i talenti necessari, i quali anzi guarderanno proattivamente all’opportunità di inviare delle auto-candidature».
Ma cosa significa nel concreto lavorare all’employer branding?
«Sono tanti i fattori su cui lavorare per guadagnare punti in qualità di datore di lavoro» afferma Adami «si parla soprattutto della definizione di una chiara Employee Value Proposition, sviluppando cioè un insieme di vantaggi e di valori che l’azienda può offrire ai propri dipendenti, in termini di flessibilità, di compensi, di benefit, di opportunità di crescita, di ambiente di lavoro e via dicendo».
Attirare l’interesse dei talenti, però, non è sufficiente. Spesso il numero dei professionisti con i requisiti necessari è effettivamente molto basso, tanto da rendere poco efficace o inutile la pubblicazione di un annuncio di lavoro. Ecco che allora, spiega Adami, «può fare un’enorme differenza rivolgersi a dei cacciatori di teste specializzati, ovvero recruiter che, grazie a un network costruito negli anni, possono sviluppare un processo di ricerca del personale a partire da una caccia diretta dei profili più adatti, coinvolgendo così nella selezione anche dei professionisti che non sono alla ricerca attiva di un nuovo impiego, ma che soddisfano tutti i requisiti fissati dall’azienda».
Employer branding da una parte, caccia diretta dei talenti dall’altra: questa è la formula ideale per abbattere la difficoltà di reclutamento, anche quando si ha a che fare con la ricerca dei profili più difficili da individuare sul mercato.