Le Telco non possono ignorare l'AI, ma non vogliono nemmeno adottarla in maniera passiva: servono strategie e partnership
"Come potete - perché dovete farlo, i benefici sono innegabili - adottare qualcosa di cui non potete davvero fidarvi?": Tim Hoettges, CEO di Deutsche Telekom, non cerca in alcun modo di nascondere il dilemma che tutte le le Telco si stanno ponendo in questo momento. È il dilemma dell'AI generativa, che oggi non è davvero affidabile nelle sue risposte ma che, ugualmente, rappresenta per gli operatori Telco un'opportunità che non si può ignorare.
Una strada possibile, per Hoettges, è quella che sta seguendo Deutsche Telekom stessa. Che nonostante il realismo del suo CEO ha identificato qualcosa come quattrocento casi possibili d'uso, per la GenAI in particolare e per l'AI in generale. Casi d'uso che sono affrontati da un Competence Center virtuale di circa 500 esperti distribuiti nelle sue varie sedi, i quali sviluppano nuove soluzioni basate sull'AI e le studiano anche insieme ai clienti di DT.
Così la Telco tedesca ha ad esempio adottato la GenAI nel customer service, sostituendo i sistemi di IVR con nuovi chatbot. I primi possono gestire solo "conversazioni" che seguono uno schema predefinito, ossia - sottolinea Hoettges - "le conversazioni che noi pensiamo il cliente voglia avere, ma non quelle che davvero cerca". Queste, invece, sono gestibili attraverso un chatbot.
AI generativa e chatbot mirati sono stati sviluppati anche per assistere i tecnici che sul campo installano nuove linee in fibra FTTH, mentre l'AI in generale viene usata per pianificare meglio la posa delle infrastrutture in fibra e il posizionamento delle stazioni radiobase. Approcci che, evidenzia il CEO di DT, hanno portato risparmi a sei-sette zeri già nel giro di 6-12 mesi.
Il futuro? È molto più appariscente per l'utente finale e arriverà "dentro" l'oggetto con cui si realizza la nostra vita digitale: lo smartphone. "Siamo alla fine dell'era delle app", avvisa il CEO di Deutsche Telekom, che ha già realizzato i prototipi di uno smartphone in cui effettivamente delle app non c'è più bisogno. È l'intelligenza artificiale a bordo che comprende cosa l'utente vuole fare e attiva di conseguenza le azioni e le funzioni che oggi sono ancora integrate nelle (future ex) app.
Tutto bene, quindi? No, avvisa ancora Tim Hoettges: l'AI non è tanto una questione tecnologica quanto di strategia. Una Telco, e in realtà qualsiasi azienda, deve avere chiaro cosa vuole fare con l'AI e in che modo si pone di fronte ad essa. I possibili ruoli che il CEO descrive sono diversi: le aziende Taker si limitano ad usare i servizi "a scaffale" degli hyperscaler, mentre le Shaper - tra cui oggi si colloca DT stessa - iniziano quantomeno a sviluppare ottimizzazioni dei modelli di AI disponibili. Poi ci sono i Maker, che sviluppano prodotti propri con funzioni di AI integrate, e infine i Facilitator, che aiutano i loro clienti ad adottare l'AI.
In un mercato - o forse, meglio, un ecosistema di mercati - sempre più AI-powered, Hoetgess indica che gli utenti come le Telco non intendono avere un ruolo passivo, in prospettiva. "Al momento non vedo nessuna Telco che possa costruire un suo foundational model", ma l'idea degli operatori non è nemmeno quella di lasciare tutto nelle mani delle OpenAI di oggi o di domani. Per questo è nata la Global Telco AI Alliance, un'alleanza tra quattro nomi di rilievo (DT, e&, Singtel, SK Telecom) che chiaramente vogliono essere sempre meno dipendenti dagli hyperscaler.
"Vogliamo creare le nostre piattaforme e i nostri modelli", spiega il CEO di DT. Soprattutto perché sono le Telco a conoscere davvero i problemi che l'AI dovrebbe risolvere per loro. E se una Telco oggi non ha un suo foundational model, di certo sta pensando a LLM più "contenuti" ma anche più mirati e specifici. LLM specifici del dominio Telco che sono già "il tema caldo di cui si discute negli stand di questo Mobile World Congress", sottolinea Hoetgess.
E poi, gli operatori di telecomunicazioni come DT vogliono farsi le ossa sull'AI non solo per le loro esigenze interne, ma anche perché vogliono essere Facilitator nei confronti dei loro clienti. Per primi e in particolare, ovviamente, quelli di maggiori dimensioni.
Che le Telco possano ricoprire il "multiruolo" di fornitori, consulenti e partner tecnologici a tutto tondo per l'AI è uno scenario previsto anche da Julie Sweet, Chair e CEO di Accenture: "per sfruttare le nuove opportunità presentate dall'AI è indispensabile una collaborazione trasversale fra aziende anche di settori diversi", spiega. E le reti saranno una componente assolutamente critica nel supportare tutti i prossimi sviluppi. Anche, banalmente, perché l'AI pervasiva richiede un dialogo costante tra centro e periferie delle reti.
"Tutte le aziende che in qualche modo 'servono' clienti all'edge stanno pensando all'AI, come accade ad esempio nel Retail. Inoltre, la maggior parte della digitalizzazione più recente del Manufacturing sta arrivando solo adesso in rete, come è tra l'altro dimostrato dal successo del Private 5G", sottolinea Sweet. E questi futuri - ma nemmeno tano - utenti delle nuove AI avranno bisogno di connettività, infrastrutture, banda.
A destra: Julie Sweet, Chair e CEO di Accenture
Ma avranno bisogno anche di strategie e idee chiare, aggiunge Sweet. Perché gli ostacoli principali che Accenture vede nella gestione della futura innovazione non sono solo tecnologici. Certo c'è da risolvere il "technical debt" delle infrastrutture preesistenti, che diventa un gap di competitività rispetto alle aziende nate già sul cloud. Ma poi serve anche avere, e presentare, incentivi chiari per un cambiamento interno che non è semplice. E serve poi acquisire la capacità di sviluppare al proprio interno le skill più necessarie. "Le aziende più di successo sono quelle che diventano creatrici di talenti - sintetizza Sweet - perché è soprattutto facendo questo che si comincia a pensare in modi nuovi".