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Intel: un quasi-spinoff per le foundry

Intel intende trasformare la divisione Intel Foundry in una controllata, per agevolare la sua crescita (e tenere contenti gli azionisti)

Tecnologie

La notizia era nell'aria ma fa comunque sensazione: Intel ha deciso di dare decisamente maggiore autonomia alla divisione Intel Foundry - a cui fanno capo le risorse e i processi per l'effettiva produzione materiale dei chip - trasformandola in una controllata. Non è quindi un vero e proprio spinoff - altra ipotesi che diversi analisti avevano portato avanti - ma comunque una mossa decisa e "storica" per cercare di migliorare lo stato di salute finanziaria di Intel in generale.

La situazione in cui si trova Intel al momento non è infatti certo rosea. I risultati finanziari del trimestre fiscale chiusosi più di recente parlano di un "rosso" da 1,6 miliardi di dollari a fronte di introiti per 12,8 miliardi (-1% circa anno su anno). E le previsioni presentate per il trimestre fiscale in corso non erano esaltanti, con un fatturato stimato in flessione del 5-10% anno su anno.

Sono cifre che mettono Intel inevitabilmente, e purtroppo, sotto scacco da parte degli investitori. In questi anni nessuna azienda statunitense dell'IT può portare avanti ragionevoli piani di rinnovamento e investimento perché i grandi investitori più agguerriti vogliono vedere solo crescite a doppia cifra anno su anno, se non trimestre su trimestre. Se queste crescite non si realizzano, CEO e consigli d'amministrazione vanno subito sotto accusa e possono persino subire class action in sequenza (a Intel è già successo).

Oggi più che piani di sviluppo e innovazione contano dividendi e valore delle azioni, e il titolo Intel dall'inizio dell'anno ha perso quasi il 60%. Troppo per non spingere il CEO Pat Gelsinger, che di decisioni drastiche per la tradizione Intel ne ha peraltro prese già diverse, a non cambiare qualche carta sul tavolo e ad accelerare nei suoi piani di trasformazione dell'azienda.

Un nuovo ruolo

In questi mesi il ruolo di Intel Foundry nelle strategie e nello sviluppo di Intel è stato spesso motivo di contrasti con gli investitori. L'idea originaria di Gelsinger era ed è chiara: le foundry e tutto il business della produzione di chip non possono sostenersi se il cliente unico, o estremamente preponderante, è Intel stessa. Intel Foundry deve quindi diventare un produttore aperto a qualsiasi cliente, puntando su un appeal che deriva dalla storia di Intel e dalle competenze che questa ha sviluppato nei processi produttivi.

Il problema è che non è affatto semplice e veloce convertire un complesso di foundry - con tutto quello che gira loro attorno - dalla produzione prevalentemente interna al mercato in generale. Considerando poi che, parallelamente, Intel Foundry deve portare avanti i suoi percorsi di innovazione tecnologica, verso processi a microlitografia sempre più spinte. E che, va ricordato, Intel negli ultimi anni ha dimostrato di fare fatica a innovare velocemente e a stare al passo dei principali concorrenti. È stata proprio questa difficoltà a (ri)portare Gelsinger in Intel.

Così siamo arrivati a un punto in cui Intel Foundry per il mercato è una realtà indubbiamente importante e rispettabile, ma anche lenta e in difficoltà. E, cosa che per gli investitori conta molto, che ha fatto di recente segnare una perdita operativa trimestrale di ben 2,8 miliardi di dollari. Esternalizzarla parzialmente permette a Gelsinger di segnare due punti importanti: da un lato presentarla al mercato come una realtà indipendente da Intel, a tutto vantaggio della chiarezza commerciale, dal'altro "pulire" i conti di Intel dai problemi di Intel Foundry.

In questo percorso Intel può trarre ispirazione dalla grande rivale AMD, che la decisione di scorporare le sue foundry l'aveva presa quasi vent'anni fa, nel 2008. A guardare oggi lo scenario del mercato, sembra che sia stata una decisione efficace. Solo che oggi siamo nel 2024 e le cose per Intel Foundry sono complicate: anche se la subsidiary di Intel sarà "più focalizzata ed efficiente" di prima, nelle parole di Gelsinger, le questioni da affrontare sono molte.

Una strategia da rivedere

Il tema chiave di fondo, che non si può ignorare nella realtà ma che è irrilevante per la Finanza, è che il mondo dei chip e delle foundry ha tempi lunghi, incompatibili con la visione del mondo di un "active investor". Per produrre un wafer di silicio e litografarvi chip funzionanti ci vogliono anche tre mesi, per studiare un nuovo processore e per creare nuovi processi produttivi e realizzare nuove "fab" ci vogliono anni, e miliardi di investimenti immediati per ritorni in là nel tempo. Pensare che Intel Foundry, fuori o dentro la casa madre, possa uscire da queste logiche e comportarsi come una startup, è insensato.

Premesso questo, va anche ricordato che Intel Foundry ha al momento problemi tutti suoi che non sono colpa o effetto del mercato. La transizione verso modelli di produzione più sofisticati non sta andando come previsto e questo non ha aiutato né Intel in generale (le ultime generazioni di processori Core hanno deluso) né l'appeal delle foundry. Ovviamente nessun cliente delle foundry spiega in dettaglio come stanno le cose, ma la notizia di Reuters secondo cui Broadcom ha sostanzialmente bocciato le forniture di test di suoi chip prodotti con il processo di manufacturing Intel più evoluto - il cosiddetto 18A, la cui produzione in volumi dovrebbe debuttare l'anno prossimo - non è stata confermata ma nemmeno smentita.

Non aiuta nemmeno che negli anni pre-Gelsinger Intel abbia cercato di giocare su più tavoli possibile, anche troppi. Dai chip tradizionali alle FPGA di Altera (anche questa oggi in via di spinoff), dalle tecnologie di MobileEye (quotata, con il titolo che da gennaio ha perso tre quarti del valore) ai diversi approcci al mondo AI. Un'azienda che al suo picco recente di performance (il 2021) fatturava 79 miliardi di dollari con un utile di quasi 20 poteva permetterselo, quella che nello scorso anno fiscale 2023 ne ha fatturati 54 con un utile netto di 1,6 molto probabilmente deve fare scelte diverse.

Quali? "Stiamo intraprendendo azioni per rafforzare e razionalizzare il nostro portafoglio prodotti, dove abbiamo identificato chiare opportunità per ottenere più focalizzazione, velocità ed efficienza", sottolinea lo stesso Pat Gelsinger contestualmente all'annuncio della nuova strategia per Intel Foundry. Le "chiare opportunità" indicate, però, sono un po' generiche.

Va benissimo "massimizzare il valore della linea x86 nei mercati client, edge e data center", soprattutto perché x86 resterà a lungo l'architettura dominante nel remunerativo segmento data center, in cui è molto difficile entrare. La strategia in campo AI resta invece vaga, considerando che la citata "leadership nella categoria AI PC" fa riferimento a un segmento di mercato su cui ci sono ancora enormi dubbi e che Gelsinger non parla del segmento degli acceleratori per l'AI, quello cioè che sta facendo le fortune di Nvidia e nel quale Intel è oggettivamente indietro.

La difficoltà di investire

Quello che è invece molto chiaro è che Intel Foundry, qualunque sia il suo status societario, deve rapidamente poter mostrare clienti importanti e portare fatturato. Ed è anche chiaro che questo fatturato comunque non sarà, a breve termine, abbastanza da mantenere tutti gli investimenti pianificati o quantomeno ventilati.

Si spiega anche così il fatto che nella sua comunicazione pubblica ai dipendenti Pat Gelsinger abbia evidenziato due nuovi importanti contratti di Intel Foundry ancora prima di spiegare il suo futuro. I contratti sono con AWS, soprattutto per lo sviluppo congiunto di un nuovo chip per i servizi di AI, e con il Department of Defense del Governo USA, in un business da 3 miliardi di dollari per "la produzione affidabile di semiconduttori all'avanguardia per il Governo statunitense". Contratto che peraltro Intel era l'unica in grado di aggiudicarsi, in quanto unica realtà capace di produrre chip e processori evoluti sul territorio USA (prerequisito fondamentale per il DoD).

La netta sensazione è che Intel Foundry oggi debba, volente o nolente, concentrarsi proprio sulla produzione all'interno degli USA, che garantisce l'accesso a cospicui fondi governativi e privati. Il programma di sviluppo del DoD, in cui Intel è coinvolta, non a caso si chiama Secure Enclave: i chip per la Difesa devono essere realizzati negli Stati Uniti e su linee di produzione dedicate, ad accesso limitato e controllato.

Intel ha già un impianto del genere in Arizona, mentre la partnership con AWS è orientata anche a nuovi investimenti congiunti in Ohio, dove Intel ha già impianti suoi e AWS intende realizzare nuovi data center. "Rimaniamo focalizzati sui nostri investimenti produttivi negli Stati Uniti e stiamo portando avanti i nostri progetti in Arizona, Oregon, New Mexico e Ohio", ha spiegato più in generale Gelsinger.

Dove è più difficile ricevere fondi - abbastanza e abbastanza in fretta - dai Governi o dalle partnership private, Intel non sembra avere più voglia di impegnarsi. Un segnale negativo per l'Unione Europea, che guardava proprio a Intel come partner per investire fondi PNRR per lo sviluppo della microelettronica europea. La fab Intel in Irlanda era e resta, invece, l'impianto principale europeo: gli investimenti in Polonia e Germania saranno bloccati "per circa due anni, in base alle previsioni della domanda del mercato".

È difficile che Bruxelles e i singoli Stati coinvolti vogliano o possano, anche solo per questioni d'immagine e politiche, fermarsi ad aspettare il rilancio globale di Intel Foundry, quindi i fondi che questa avrebbe ricevuto saranno probabilmente spostati verso altri progetti e altri partner. D'altronde, sono anni che gli osservatori della geopolitica della microelettronica avvisano che andiamo verso un marcato isolazionismo tecnologico. Il caso-Intel mostra che a dettarlo ora non sono solo le scelte strategiche ma anche i conti del mercato.

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