Marijus Briedis, CTO di NordVPN: “L'intelligenza artificiale sta ridisegnando molti ambienti di lavoro, e le ricerche rivelano che i più giovani e chi ha un livello di istruzione superiore si adattano più rapidamente all'AI, vedendola spesso come uno strumento utile nel loro lavoro".
Quasi un terzo degli utenti italiani teme che la tecnologia AI si stia sviluppando troppo rapidamente, mentre un quarto non è disposto a condividere informazioni sensibili con i chatbot: lo rivela una nuova ricerca di NordVPN.
La maggior parte delle persone si sta ancora adattando all’intelligenza artificiale, una tecnologia che fino a poco tempo fa sembrava più appartenere alla fantascienza che alla realtà. Il confine tra questi due mondi resta sottile, e in Italia emerge una tendenza preoccupante: molti confondono i contenuti generati dall’AI con quelli reali.
La stragrande maggioranza degli utenti italiani (88%) non crede di essere in grado di saper riconoscere le immagini generate dall'AI, sebbene il 14% dichiari di averne create personalmente utilizzando un chatbot.
“La rivoluzione dell'intelligenza artificiale è ormai una realtà e la sua rapida diffusione sta trasformando il nostro modo di vivere e lavorare. Tuttavia, sebbene i chatbot AI siano strumenti preziosi, è fondamentale prestare attenzione alla privacy e alla sicurezza durante il loro utilizzo, per non diventare un facile bersaglio per i cybercriminali,” ha detto Marijus Briedis, CTO di NordVPN.
In Italia, l'uso dei chatbot AI è ancora limitato, con solo il 9% degli utenti che li utilizza quotidianamente. Le persone sembrano preferire l'assistenza umana e il 16% degli intervistati dichiara di sentirsi infastidito quando le aziende si affidano ai chatbot per il servizio clienti. Questo sentimento è particolarmente diffuso tra la persone appartenenti alla Generazione X (44-59 anni).
Quasi un terzo (28%) degli utenti teme che l'intelligenza artificiale stia evolvendo troppo rapidamente, con i Baby Boomers (tra i 60 e i 78 anni) che manifestano la preoccupazione più grande, raggiungendo il 34%. Questi timori, insieme alle attuali limitazioni dei chatbot AI, contribuiscono a una loro adozione ancora lenta nella vita quotidiana.
Sebbene solo l'11% degli intervistati esprima preoccupazione per il fatto che l'AI li sostituirà nel lavoro, i più preoccupati sono gli appartenenti alla Generazione Z (18-27 anni).
“L'intelligenza artificiale sta ridisegnando molti ambienti di lavoro, e le ricerche rivelano che i più giovani e chi ha un livello di istruzione superiore si adattano più rapidamente all'AI, vedendola spesso come uno strumento utile nel loro lavoro. Tuttavia, la priorità assoluta rimane la cybersecurity. Non si tratta più solo di proteggere gli spazi digitali tradizionali, ma di salvaguardare un futuro in cui l'AI permea ogni aspetto del nostro lavoro. Questo richiede misure di sicurezza in continua evoluzione, politiche aggiornate e programmi di formazione che preparino i lavoratori e le lavoratrici ad affrontare un ambiente digitale in rapido cambiamento” ha detto Briedis.
Il 27% degli italiani inoltre sta cercando di approfondire le proprie conoscenze sull'AI per adattarsi meglio al futuro tecnologico. In particolare, circa il 30% della Generazione Z e della Generazione X mostra un forte interesse. Questi dati sfidano gli stereotipi comuni, dimostrando che sia le generazioni più giovani che quelle più anziane sono ugualmente impegnate nell'apprendimento dell'AI. Quest’ultime non sono affatto indifferenti ai progressi tecnologici, considerando che nello specifico i Baby Boomers sono indietro di solo un punto percentuale.
Tuttavia, i Millennial (persone di età compresa tra i 28 e i 43 anni) mostrano un interesse inferiore rispetto alle altre coorti anagrafiche, suggerendo un potenziale divario nell'adozione e nella comprensione dell'AI all'interno di questa fascia demografica.
Solo un decimo degli intervistati utilizza regolarmente i chatbot di intelligenza artificiale nel tempo libero, ad esempio per generare immagini, mentre solo l'8% li impiega per motivi professionali e il 7% li usa come strumento di supporto a scuola o all’università.