Secondo il Centro studi di Unimpresa, i dazi introdotti dagli Stati Uniti, con una tariffa base del 10% su tutte le importazioni e un ulteriore 20% su molti beni europei, rappresentano una sfida significativa per l’export italiano, che verso gli Usa vale tra i 50 ei 70 miliardi di euro annui.
I nuovi dazi Usa del genere avranno un impatto significativo sui consumatori americani che acquistano made in Italy, con un aumento complessivo dei costi stimati per la spesa aggiuntiva di beni importati dall’Italia: l’incremento medio per persona è di 15-21 dollari all’anno ovvero tra 75 e 100 dollari per famiglia. In totale: fino a 7 miliardi di dollari annui.
Ad esempio, 2 miliardi di euro (circa 2,2 miliardi di dollari) per l’agroalimentare, 1,5-2 miliardi di euro (1,65-2,2 miliardi di dollari) per moda e lusso, e 1,5-3 miliardi di euro (1,65-3,3 miliardi di dollari) per la manifattura, sommati per l’intera popolazione degli Stati Uniti.
L’inflazione americana dovrebbe salire complessivamente dello 0,5%. L’ incremento medio dei prezzi dei beni italiani dovrebbe attestarsi tra il 15 e il 25%, con punte del 20% su vini (da 20 a 24 dollari a bottiglia), olio (da 15 a 18 dollari al litro) e abbigliamento (da 200 a 240 dollari per una giacca), con una consequenziale penalizzazione del potere d’acquisto delle famiglie americane.
È quanto calcola il Centro studi di Unimpresa, secondo le nuove tariffe doganali colpiscono duramente le imprese italiane che esportano verso gli Stati Uniti, un mercato da 50-70 miliardi di euro annui, minacciando una perdita di fatturato stimato tra 5 e 8 miliardi di euro, fino alll’11,5% circa.
Nel settore agroalimentare (export di 5-6 miliardi di euro), la riduzione della domanda del 5-10% potrebbe tradursi in un calo di 250-600 milioni di euro, con 400-600 milioni persi solo nel vino e 100-150 milioni nei formaggi.
La moda e il lusso (12 miliardi di euro di export) rischiano una flessione di 600-1.200 milioni di euro, mentre la manifattura (10-15 miliardi di euro) potrebbe subire perdite tra 500 e 1.500 milioni di euro, soprattutto per macchinari e componenti auto.
Complessivamente, le circa 10.000 imprese italiane esportatrici verso gli Usa, di cui il 70% PMI, potrebbero affrontare una contrazione media del fatturato del 5-7%, pari a 300.000-500.000 euro per azienda: molte potrebbero ridurre investimenti o personale se non troveranno mercati alternativi.
«Di fronte ai dazi americani e alle tensioni economiche globali, serve una risposta chiara e concreta. Credo che il primo passo sia una strategia europea condivisa: non possiamo permetterci una guerra commerciale che danneggi le nostre imprese, ma nemmeno restare passivi di fronte a chi colpisce il nostro export. L’Europa deve parlare con una voce sola, difendendo i propri interessi senza cedere terreno. In secondo luogo, è fondamentale guardare oltre l’Atlantico: il trattato con l’America Latina, pronto per la ratifica, è un’opportunità da cogliere subito. Aprire nuovi mercati significa dare ossigeno alle nostre aziende, soprattutto alle pmi che rappresentano il cuore del tessuto produttivo italiano. Infine, serve un piano di sostegno mirato per i settori più colpiti, dall’agroalimentare alla manifattura. Prendiamo esempio dalla Spagna, dove il premier ha avuto l’intelligenza di coinvolgere anche l’opposizione per un progetto comune. Ma per farlo in Europa, dobbiamo avere il coraggio di sospendere il Patto di Stabilità: solo così libereremo risorse per investire, proteggere posti di lavoro e rilanciare la competitività delle nostre imprese in un momento cruciale» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.