Autore: Redazione ImpresaCity
L'Intelligenza Artificiale ha un posto importante nell'agenda della prossima presidenza italiana del G7 ma la strategia nazionale per l'AI continuerà a prediligere la prudenza rispetto alle fughe in avanti stile Silicon Valley. E sullo sfondo resta comunque la difficoltà del nostro Paese a favorire qualsiasi ecosistema di innovazione. È un po' questo il succo di una intervista che Alessio Butti, sottosegretario di Palazzo Chigi con delega all'Innovazione, ha rilasciato al Foglio e che è stata riportata dal MiTD. Intervista che tocca diversi punti di interesse per l'innovazione nelle imprese.
Lato AI, Butti evidenzia l'inevitabile presenza di visioni anche molto diverse su quanto sia opportuno lasciare libere le imprese nello sviluppare e nell'adottare soluzioni collegate all'Intelligenza Artificiale. Per Butti il necessario equilibrio si può trovare in sede europea, con la UE che assume il suo classico ruolo di luogo di mediazione. O, per i meno ottimisti, di compromesso.
"Il tema della deregolamentazione solleva la questione cruciale del bilanciamento tra normative e innovazione: esiste una soglia dove i regolamenti possono essere di ostacolo allo sviluppo innovativo, ma l'Europa si è sempre distinta nel definire quadri normativi che influenzano le politiche globali", spiega in questo senso Butti.
Per il G7 ci si aspetta la definizione della strategia italiana in campo AI, dato che viviamo un momento in cui è impossibile non affrontare l'argomento. Ed è comunque necessario che le nazioni si confrontino su come gestire uno sviluppo tecnologico che procede molto velocemente e che promette impatti importanti in qualsiasi settore. La strategia italiana vuole basarsi su "una sinergia di abilità imprenditoriali, rispondendo così alla mancanza di un leader industriale italiano nel settore dell'IA", spiega Butti.
Se l'innovazione in molti campi accelera, la capacità dell'Italia di gestirla sembra invece fare passi indietro. Colpa di lacune storiche che vanno colmate, ma Butti avvisa che va bene "valorizzare le imprese nazionali e le startup", ma non indiscriminatamente: "non possiamo sprecare soldi pubblici per realtà che puntano solo a una exit vantaggiosa, magari a favore di un acquirente estero".
Ecco perché l'obiettivo è certamente "sviluppare un ecosistema competitivo, incentivando partenariati tra le aziende italiane", ma mettendo dei paletti precisi. Regole di ingaggio, le chiama Butti: "chi riceverà i soldi pubblici dovrà impegnarsi a non dar luogo a repentine exit, che toglierebbero valore agli sforzi pubblici nel settore". Perché per un Paese come il nostro, che di fondi non ne ha poi molti, sprecare denaro è impossibile.
Questo scenario comporta ovviamente il rischio che le startup tecnologiche nazionali i fondi li vadano a cercare altrove. Per evitarlo "con Cassa depositi e prestiti e Agenzia per la Cybersicurezza <<nazionale intendiamo valorizzare i talenti, per evitare che si rivolgano altrove per soddisfare le loro aspettative di crescita", spiega il sottosegretario.
Gli investimenti l'Italia dovrebbe attirarli anche dall'estero. Ma fa fatica a farlo, e Butti non lo nega: "Qualunque marchio estero fa fatica a investire in Italia per ragioni ben note a tutti da anni, come l'elevato costo del lavoro, la burocrazia e i tempi troppo dilatati della giustizia".