La rivoluzione green tocca anche l'anima tecnologica delle imprese, che deve guardare alla sostenibilità con la stessa attenzione di tutte le componenti aziendali
Autore: Redazione ImpresaCity
Oggi si chiede alle aziende di operare in maniera più sostenibile, riducendo al minimo l’impatto ambientale delle proprie attività. L’appello tocca in particolare le aziende più grandi: l’impatto delle loro azioni è maggiore e hanno già assimilato i temi della CSR, o Corporate Social Responsibility. Così molte grandi imprese hanno già definito una strategia di sostenibilità. Ma ancora poche hanno considerato l’IT come una sua parte fondamentale. È uno scenario che cambierà in fretta, perché l’impatto ambientale dell'IT è sempre più sotto i riflettori. E contenerlo presenta nuovi problemi a chi, dal CIO in giù, si occupa di digitalizzazione.
Perché oggi si parla tanto di “IT sustainability”? Perché l’IT, purtroppo, per sua natura è spesso poco amica dell’ambiente. Elaborare dati consuma energia, e siamo bersagliati da studi che indicano come il consumo di dati sia in continua esplosione. Con un proporzionale aumento, almeno teoricamente, dei consumi. Oggi poi, alcune delle tecnologie più interessanti o di moda, come l’AI o blockchain, sono particolarmente energivore. E alla fine, più energia si consuma per computing, storage e networking, più gas serra si emettono.
Non c’è poi solo la questione energia. La supply chain dell’IT ha enormi margini di miglioramento dal punto di vista del suo impatto ambientale. Basta guardare all’inizio e alla fine della catena. Per costruire i dispositivi e i loro componenti servono metalli rari che spesso sono estratti in modi ambientalmente ed eticamente discutibili. A fine vita, questi dispositivi raramente sono riciclati. Secondo la Global E-waste Statistics Partnership, nel 2019 la l'89% delle organizzazioni ha riciclato meno di un decimo del suo hardware IT. In Italia, nel 2019 ciascuno di noi ha prodotto, mediamente, 17,5 chilogrammi di e-waste. Il CIO a cui venga chiesto di essere più “sostenibile” rischia di trovarsi in un dilemma apparentemente irrisolvibile. Da un lato la “sua” IT ha un impatto ambientale importante che va ridotto, dall’altro le tecnologie della digitalizzazione sono indispensabili e, anzi, all’IT viene chiesto di implementarne sempre di più. Così la sostenibilità dell’IT diventa quasi un gioco di equilibri: diminuire il costo ambientale dell’infrastruttura senza frenare la sua evoluzione. Non è affatto banale.
Capire di che si tratta
L’IT va inserita in una strategia precisa di sostenibilità aziendale: con linee guida, procedure, obiettivi, tempistiche. Si stima che l’80% delle enterprise, a livello globale, non l'abbia ancora fatto. Perché? Perché non è immediato già rispondere alla prima domanda di fondo: da cosa è fatta, in concreto, l’IT sustainability? Non può essere solo consumare meno energia e produrre meno e-waste.
In effetti serve una visione ampia per comprendere tutti gli aspetti della sostenibilità dell’IT aziendale. Rende bene l’idea Capgemini, secondo cui la IT sustainability non è una definizione mirata o un parametro misurabile. È piuttosto “un termine-ombrello che descrive un approccio orientato all’ambiente per la progettazione, l’utilizzo e lo smaltimento di hardware ed applicazioni software, e alla progettazione dei processi di business che li accompagnano”. Così c'è dentro di tutto: hardware, software, sviluppo interno, IT operations, ambienti di test e produzione, servizi esterni, reti di comunicazione... Tutto va considerato in una logica di “ecodesign” complessivo dell’IT.
Secondo punto: è difficile definire modelli di riferimento in base ai quali valutare il proprio stato di sostenibilità. Perché mancano le competenze per collegare la sostenibilità all’IT. Ma soprattutto perché mancano in generale gli standard e gli strumenti per calcolare in maniera omogenea e confrontabile quanto “costa” ambientalmente una qualsiasi attività digitale. Infine, c’è sempre la paura che cambiare l’IT per renderla più sostenibile abbia conseguenze negative sulla sua operatività. Queste difficoltà iniziali devono essere messe in conto e metabolizzate. La sostenibilità dell'IT non è più una bella voce da inserire in un report aziendale, è un elemento che diventerà comunque critico. E quindi da affrontare. Un po, volendo fare un parallelo, come la cyber security: non la si raggiunge mai in maniera assoluta, ma comunque si deve definire un percorso evolutivo ciclico che punta sempre a migliorarla. E come nella cyber security, il primo passo da fare è definire lo stato iniziale di partenza, per poi indicare a che livello si intende arrivare.
L’assessment iniziale non è semplice, va detto. Non ci sono molti standard ufficiali attraverso cui fissare quella che potremmo definire come una “sustainabiliy posture”. Ci sono specifiche che delineano le traiettorie ideali di sviluppo ambientale dell’ICT, come la Raccomandazione ITU-T L.1470. O standard genericamente incentrati sulla valutazione degli impatti ambientali di un prodotto o servizio nel suo ciclo di vita. Come le norme ISO 14040, 14044 e 14072.
Misurare per migliorare
Quali che siano le basi da cui si parte, serve definire parametri quantificabili che valutino lo stato di partenza dell’infrastruttura, ossia l’impatto/costo ambientale dei componenti e dei processi. Questo non solo per l’IT in generale ma scomponendolo per processi di business, unità operative o divisioni dell’azienda. Questa analisi di dettaglio serve soprattutto a capire dove bisogna intervenire prima che altrove. Ma anche ad allocare precisamente i “costi ambientali” dell’IT a parti diverse dell’azienda. Un elemento che ha un valore anche “politico”.
A questo punto, come si "migliora" l'IT lato sostenibilità? Le strade possibili sono tantissime, macroscopiche e di dettaglio. Certo la scelta di prodotti hardware ideati per avere poco impatto ambientale. Ma anche definire policy interne per usarli e smaltirli in maniera corretta. Lato reti, ottimizzare il traffico dati. Puntare al cloud perché si suppone che le infrastrutture degli hyperscaler siano più "ecologiche" di quelle di una generica impresa. Anche adottare il machine learning lato operations per ottimizzare quanto possibile la propria IT. Trasversalmente, sforzarsi di realizzare le proprie applicazioni e infrastrutture in una logica sostenibile fin dalla prima ideazione.
L’elemento trasversale fondamentale è però quello della governance. La sostenibilità dell’IT non può essere un problema solo del CIO ma deve essere assimilata ai livelli più alti del management. Perché, una volta accettata come linea guida, deve poi permeare tutte le scelte tecnologiche che verranno fatte in seguito. E non è detto che l’opzione IT ecologicamente più conveniente sia anche quella migliore per costi, prestazioni, impatto sull’esistente, rapidità di implementazione. Senza un mandato preciso (e condiviso) dell’azienda, il nostro ipotetico CIO “sostenibile” non può non avere vita dura.
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