Risponde Alberto Da Pra, Vice President Go-to-market Practices di NTT Italia
Autore: Redazione ImpresaCity
In base alla vostra esperienza, quali skill giudicate più importanti per il 2021? La trasformazione digitale, e la conseguente digitalizzazione dei processi, ha evidenziato la necessità di nuove figure professionali altamente qualificate in grado di tenere il passo dell’evoluzione tecnologica. La sicurezza è da sempre al centro di tutte le strategie aziendali e negli ultimi anni ha ottenuto una maggiore attenzione a fronte dell’aumento del numero degli attacchi informatici, sempre più evoluti e impattanti. Figure come il Security Analyst, Security Presale e il Security Tech Expert, che già in passato erano oggetto del contendere, oggi sono diventate tanto indispensabili quanto rare da trovare. In un’ottica di maggiore flessibilità e agilità di un’organizzazione, fondamentali per rispondere efficacemente agli eventi imprevisti, vediamo una più spinta adozione dell’SD-WAN e più in generale delle Software Defined Infrastructure. Anche in questo caso, gli specialisti in questa area sono risorse molto ambite.
In questo contesto si affiancano alle usuali competenze tecnologiche figure in grado di sviluppare codici per l’automatizzazione di processi o attività e in grado di interfacciarsi, mediante API, alle applicazioni core dei clienti. Il cambiamento nel modo di lavorare e di collaborare, e con esso l’introduzione di nuovi strumenti a supporto, consta anche di una trasformazione dei processi al fine di migliorare la produttività dei dipendenti, ovunque essi si trovino. Si tratta di un cambiamento a livello organizzativo all’interno del quale figure come esperti nei processi di riorganizzazione ed esperti in grado di poter pianificare e rilasciare gli strumenti a supporto dei nuovi flussi di lavoro e delle nuove metodologie contribuiscono a indirizzare e ottimizzare l’operatività sulla base degli obiettivi di business. Se pensiamo poi al lavoro in remoto, un aspetto che non deve essere sottovalutato è la capacità di adattamento alle nuove dinamiche lavorative.
Durante il primo lockdown, molte sono state le difficoltà riscontrate dai dipendenti remoti, sia da un punto di vista tecnologico sia più prettamente umano, come il senso di isolamento e l’introduzione di una nuova routine dove non esiste confine tra vita privata e lavorativa. Soft skill che sono insite e peculiari del singolo e che non possono essere apprese ma che l’azienda può supportare indirizzando le specifiche necessità anche attraverso un percorso di apprendimento che promuova nuove competenze, senso di inclusione e di fiducia.
Ritenete che le competenze individuate siano più facili da sviluppare internamente o da acquisire all’esterno? Dover acquisire competenze dall’esterno non è quasi mai la scelta ottimale per un’azienda. Infatti, se i processi interni sono ben implementati, le figure professionali dovrebbero avere la possibilità di crescere e riposizionarsi internamente, evitando un dispendio di esperienza e skill maturate, che offrono un reale valore aggiunto. Preferibilmente, e laddove è possibile, un’azienda dovrebbe optare per investimenti volti a sviluppare le competenze interne, facendo del proprio capitale umano l’elemento di differenziazione. Nonostante ciò, ci sono situazioni per le quali diventa indispensabile fare affidamento sull’acquisizione di risorse esterne.
Per esempio quando, a seguito di dimissioni o cambi di ruolo, si vengono a creare dei gap nella struttura che non si riescono a reperire nell’immediato. Così come il caso in cui un’organizzazione stia implementando un processo di trasformazione interna rapida o di apertura di nuovi mercati che richiede nuove competenze in tempi brevi, incompatibili con i ruoli esistenti.
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