Autore: Redazione ImpresaCity
Qual è, secondo la vostra percezione, il livello di maturità in Italia delle imprese del manufacturing di fronte alle potenzialità della trasformazione digitale?
La risposta tipica di un’economista a questa domanda sarebbe “dipende”. L’esperienza ci consente di sostenere che le aziende del manufacturing con cui siamo in contatto, tipicamente medie-grandi con brand internazionalmente riconosciuti, hanno ben chiaro quanto sia determinante l’innovazione di prodotto per competere in mercati globali. Questa propensione beneficia inoltre della crescente l’attenzione al cliente (sia nel B2B sia nel B2C), fattore che porta a cercare di comprendere le logiche legate alla customer experience quali l’adozione di strumenti, soluzioni e servizi digitali che diventino differenzianti per i clienti. Parlando di nuovi modelli di erogazione dei servizi IT a supporto dell’innovazione di prodotto/servizio e della customer experience, è fortemente cresciuta l’attenzione degli interlocutori e oggi la posizione è di disponibilità e apertura. Non siamo ancora nella fase realizzativa e di implementazione su larga scala: si sono comprese le esigenze, ma c’è ancora diffidenza verso qualcosa che non si conosce nei suoi impatti pratici e che si traduce in sperimentazioni “non ufficiali”. Innovare significa rischiare e anche mettere in conto qualche possibile fallimento. Lo abbiamo sperimentato con i chatbot, strumento che se ben costruito porta un valore aggiunto determinante nella relazione col cliente, ma i fallimenti di cui si è letto e sperimentato del passato, generano diffidenza.
Nel nuovo scenario, quali aspetti (tecnologici, di approccio, strategici o altro) appaiono come i più critici o più urgenti da affrontare?
La tecnologia non è percepita come un aspetto critico, ma lo sono quelli commerciali e legali relativi alla sua adozione e utilizzo: modelli di licensing e di pricing concorrono a creare diffidenza. I contratti per l’adozione di risorse cloud non sempre specificano tutti i costi legati alla movimentazione dei dati tra cloud provider oppure in caso di ritorno ai sistemi on prem. I partner dei vendor dovranno acquisire competenze aggiuntive che diano valore attraverso la “gestione del rischio”, diventando intermediari utili sia per i vendor sia per i Provider e i clienti.Inoltre la trasformazione digitale deve essere parte integrante dei piani industriali e delle strategie di business aziendali, non può più quindi solo essere responsabilità della struttura IT. Compito dei CEO è comprendere perché le tecnologie digitali sono abilitanti alla generazione di nuovo business e allineare tutta l’azienda. Forse però l’aspetto culturale rimarrà quello più critico da affrontare: siamo pronti ad utilizzare ogni tipo di tecnologia fuori dell’attività lavorativa, ma guardiamo con sospetto l’introduzione di strumenti di intelligenza artificiale per l’analisi dei dati.
Come le vostre soluzioni e i vostri servizi rispondono a queste esigenze?
Mauden, che nel 2019 è entrata a far parte del Gruppo Ricoh in Italia, è un IT System Integrator cliente-centrico, che ha come missione l’abilitare un’adozione sostenibile delle tecnologie IT: il nostro modo di lavorare è teso a comprendere le esigenze dei nostri clienti in termini di risultati da raggiungere, di impegni da mantenere, di rischi e timori da affrontare e gestire insieme. Per fare questo abbiamo allineato l’azienda al nuovo contesto IT, facendo leva su competenze decennali nella progettazione di infrastrutture per data center. A queste abbiamo aggiunto quelle necessarie alla realizzazione di ambienti eterogenei (hybrid e multi cloud) abilitanti la fruizione di grandi quantità di dati e l’adozione di nuovi modelli di sviluppo applicativo, fornendo una gestione di questi con un supporto che tenda all’eccellenza. La continua evoluzione di competenze, di conoscenze tecniche, di processi e metodi è parte della nostra cultura aziendale e la trasferiamo in ogni occasione ai nostri clienti.
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