Autore: Redazione ImpresaCity
Cosa è oggi la sostenibilità, dal punto di vista delle imprese? La risposta più ovvia e più frequente riguarda la sostenibilità ambientale: in vario grado, le aziende sono consce del fatto che devono ridurre il loro impatto sull’ambiente. Quasi tutte ci stanno provando, oggi poi non guasta che ridurre l’impatto ambientale significa anche ridurre i consumi energetici: è un fattore di spinta in più.
Non c’è solo questo, però. L’attenzione all’ambiente intercetta anche quei temi che andavano di moda sotto l’ampio ombrello della CSR enterprise. La Corporate Social Responsibility, o responsabilità sociale d’impresa, in effetti è un concetto valido anche adesso, solo che si è inserita nel filone della sostenibilità in senso lato. Semplificando, le aziende dovrebbero essere tanto abitanti rispettose dell’ambiente quanto cittadine solidali del loro tessuto sociale. E qui le cose si fanno più complesse, perché la sostenibilità ambientale è un concetto tutto sommato immediato, mentre la sostenibilità “altra” lo è molto meno.
Beninteso, nessuno si illude che tutte le aziende diventino organizzazioni umanitarie. Creare valore economico resta il fine principale della gran parte delle imprese. Il valore economico o finanziario non deve però essere collegato alla generazione di un “valore sociale” negativo. I profitti aziendali, per dirla crudamente, non si possono generare a spese della collettività. Meglio ancora, la creazione del valore aziendale dovrebbe portare alla creazione di un valore anche sociale.
Da un certo punto di vista, in queste considerazioni non c’è niente di nuovo. Anche nella Costituzione italiana, che proprio nuovissima non è, l’Articolo 41 indica che “l'iniziativa economica privata è libera” ma “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Perché, allora, la sostenibilità oggi non è più un tema indefinito ma una questione da affrontare in maniera concreta e rapidamente? Le ragioni sono molte, ma tre sono le principali. La prima e più importante è che i temi collegati alla sostenibilità sono molto più pressanti ed evidenti che in passato, e una buona fetta dell’opinione pubblica (che è poi fatta da consumatori che scelgono prodotti e servizi) valuta le imprese anche per come intendono affrontarli.
Varie organizzazioni internazionali hanno poi dato una struttura precisa ai molti aspetti della sostenibilità, così hanno reso più chiaro alle imprese gli obiettivi che si devono dare. La traccia più ampia è quella dei 17 Sustainable Development Goal (SDG) che le Nazioni Unite hanno definito nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Terzo fattore: la sostenibilità sta dettando un nuovo approccio normativo. Le imprese saranno sempre più soggette a norme che la mettono al centro delle strategie aziendali. E che impediscono di fatto gli approcci residuali o solo di facciata al tema. In questo scenario la sostenibilità ha tre declinazioni chiave – ambientale, sociale, di governance – in base alle quali le imprese saranno giudicate costantemente. Perché una azienda poco sostenibile è anche un’azienda con diversi punti di vulnerabilità, tanto da essere valutata negativamente nei momenti chiave della sua vita, ad esempio quando chiede un prestito o nelle attività di due diligence per una possibile acquisizione.
Molte imprese, specie di piccole dimensioni, ancora non percepiscono nettamente il legame tra sostenibilità e solidità aziendale. E quindi non comprendono la necessità di tenerne conto a livello normativo. Eppure, il legame esiste ed è sempre più diretto.
Ad esempio, una impresa che non tiene conto delle questioni ambientali potrebbe essere punita dai suoi clienti. Una impresa che invece ha lavorato positivamente sui suoi consumi energetici e sull’utilizzo delle materie prime può risentire meno delle fluttuazioni dei loro costi. Lato governance, una impresa che non ha politiche di welfare e sviluppo per i dipendenti è a rischio di perdere i migliori a favore delle imprese che invece queste politiche le hanno.
L’Unione Europea si sta muovendo in maniera decisa per quanto riguarda le norme sulla sostenibilità in azienda. “La condotta delle società in tutti i settori dell'economia è fondamentale per il successo della transizione dell'Unione a un'economia verde e climaticamente neutra”, si legge all’inizio della proposta di Direttiva sul governo societario sostenibile che è in via di formalizzazione.
Una norma del genere, quando vedrà la luce, tra l’altro opererà in sinergia con altre norme europee sempre collegate alla sostenibilità. Quella che viene prima alla mente è la proposta modifica alla NFRD, la Direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario che ha introdotto l'obbligo per le imprese di fornire il cosiddetto bilancio di sostenibilità. L’idea è quella di estendere l’obbligo di fatto a tutte le società di grandi dimensioni e a tutte le società quotate, con tanto di audit di quanto dichiarato.
La Commissione Europea sta poi facendo in modo che i mercati finanziari siano spinti a favorire aziende e progetti sostenibili e a sfavorire quelli che non lo sono. Con sempre meno scappatoie grazie al cosiddetto Regolamento sulla tassonomia. Una norma che definisce in maniera omogenea i criteri di ecosostenibilità delle attività economiche. In pratica, che criteri deve rispettare un’azienda per poter realmente affermare che una sua attività è “ecosostenibile” oppure dà un “contributo sostanziale” a qualche obiettivo di sostenibilità. Perché le parole contano: fanno decidere se conviene o meno investire in una impresa.